Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Mondiali del ’74: la rivoluzione incompiuta dell’Olanda

Mondiali del ’74: la rivoluzione incompiuta dell’Olanda

All’Olympiastadion di Monaco di Baviera si stanno affrontando Germania Ovest e Paesi Bassi; è il 7 luglio del 1974 e la finale dei Mondiali del ‘74 è iniziata da appena una manciata di secondi. I Paesi Bassi – ma tutti la chiamano Olanda – manovrano con indolenza.

Coi loro passaggi sembrano quasi irridere i padroni di casa, fino a quando Johan Cruijff non decide di accelerare. Johan è il calciatore più forte del mondo, in quel momento, e uno dei migliori di sempre; si incunea, palla al piede, tra due giocatori ed entra in area. Quando Uli Höness lo atterra la Germania Ovest non ha ancora toccato la palla, l’ha solo vista da lontano. L’arbitro fischia: è rigore.

Calcia Neeskens, l’esperto dei tiri piazzati. Non è un rigore memorabile: il centrocampista tira fortissimo e centrale, senza manco colpire benissimo, tanto da alzare polvere bianca dal dischetto. Fa niente, Sepp Maier aveva già scelto dove buttarsi e la palla si insacca in rete. Anzi, non è esatto.

Le reti sono talmente tese, all’Olympiastadion, che la palla torna in campo tra i piedi di Neeskens. L’adrenalina e l’entusiasmo sono alle stelle e l’olandese la calcia di nuovo in rete con violenza. Quell’immagine rende bene l’idea della forza soverchiante che i Paesi Bassi hanno esercitato ai Mondiali del ’74; dopo due minuti la finale pare già decisa.

Ma come si è arrivati al 7 luglio?

Siamo quasi alla metà degli anni Settanta; tra crisi petrolifere e Guerra Fredda, il grande sogno di fine anni Sessanta pare ormai un ricordo perso nella nebbia del decennio di piombo. I Mondiali di quattro anni prima hanno definitivamente licenziato la storica Coppa Rimet, rimasta in Brasile con Pelé e soci. Per la prima volta il Mondiale prende la definizione di FIFA World Cup.

La formula è diluita in due fasi a gironi che portano direttamente alla finale. Non è l’unica rivoluzione, e l’altra la porta proprio la nazionale arancione dell’Olanda. Il calcio totale, lo chiamano, un miscuglio di tattica e preparazione atletica che fa sembrare improvvisamente le altre squadre un retaggio dei tempi antichi.

Gli olandesi si muovono per il campo a folate, scambiandosi di posto e tessendo una rete di passaggi asfissiante; non ci sono ruoli, non come si sono sempre conosciuti, almeno. All’epoca quel tipo di calcio si è visto solo nel campionato dei Paesi Bassi, con l’Ajax, e in qualche imitazione. Il pressing è una parola nuova.

Ma attenzione, il calcio totale dei Paesi Bassi, orchestrato da Rinus Michaels, è reso possibile da due fattori.

Il primo è la grande preparazione, sia fisica che tattica; il secondo è la felice coincidenza generazionale che vede in campo, tutti assieme, una serie di talenti irripetibili. A capo di questi c’è ovviamente lui, Johan Cruijff, Pallone d’oro già nel 1971 e ’73; star milionaria del Barcellona, dopo i successi con l’Ajax, Cruijff vincerà il riconoscimento anche quell’anno. Il numero quattordici olandese è un irripetibile miscuglio di classe, tecnica, talento, visione di gioco e velocità di pensiero.

Nei gironi eliminatori i Paesi Bassi fanno a pezzi malamente chiunque gli si pari davanti; a eccezione di un pareggio con la Svezia, rifilano quattro gol all’Argentina, due al Brasile e subiscono una sola rete, peraltro un malaugurato autogol di Krol.

Dall’altra parte il percorso della Germania Ovest, padrona di casa, è molto più accidentato. Addirittura, lo sgambetto più umiliante è proprio a opera dei cugini comunisti della parte est; nel primo girone – in una partita dai contenuti politici storici – il Davide comunista batte per una a zero la compagine più quotata. La squadra di Beckenbauer e compagni non gioca un calcio né moderno, né piacevole. Eppure, come spesso capita con la Germania, si ritrova in finale.

Nuovo contro vecchio, classe contro sudore, spettacolo contro abnegazione; c’è poco da fare, il bel gioco e l’entusiasmo degli olandesi hanno conquistato il pubblico dei Mondiali del ’74.

A parte i tifosi di casa, tutti tengono le parti delle furie arancioni. L’inizio della finale pare il prologo di un film già scritto, eppure – come per l’Ungheria vent’anni prima – il copione sarà diverso.

Quello che succede ci mostra i due volti del fallimento, nello sport come nella vita.
Il primo, più eclatante, è quello dell’Olanda: è l’imprevedibile tracollo della squadra imbattibile. L’altro, il rovescio della medaglia, è il successo della vittima sacrificale, la sgraziata Germania Ovest di quei Mondiali del ’74.

Sì, perché dopo quei primi, umilianti, due minuti, la finale prenderà tutta un’altra strada. Mentre tutti aspettano che i Paesi Bassi dilaghino, facendo scempio della squadra di casa, i tedeschi non si fanno prendere dallo sconforto. Pezzo per pezzo ricostruiscono la tattica preparata minuziosamente a tavolino.

Riescono a imbrigliare Cruijff, pareggiano con un rigore di Breitner e passano in vantaggio con Muller. Alla pausa di metà partita, la Germania Ovest è in vantaggio, anche se nessuno vuole crederci. A parte la classe di Beckenbauer, la Germania è una squadra operaia. Gli olandesi sono belli, atletici e divertenti; i tedeschi sono brutti, sporchi e cattivi.

Breitner è un baffone dalle idee maoiste, giovane ma durissimo in campo; Gerd Muller un attaccante efficace quanto sgraziato. Eppure, a metà finale dei Mondiali del ’74, sono loro a comandare. Gli olandesi, tanto perfetti da sfiorare la supponenza, improvvisamente hanno le gambe molli. Il calcio totale è molto dispendioso, e loro non sono programmati per inseguire, ma solo per dominare.

La vecchia storia di Davide e Golia trova la sua ennesima applicazione proprio in questa partita. I Paesi Bassi si dannano, attaccano ma quei meccanismi così oliati paiono cigolare. Addirittura, i tedeschi potrebbero dilagare, ma alla fine basta quella rete di vantaggio. I Mondiali del ’74 li vincono loro.

La metafora umana della partita è affascinante, ma stiamo pur sempre parlando di una gara di calcio.

La filosofia rivoluzionaria dell’Olanda, quella della modernità e del calcio totale, esce con le ossa rotte; ma come sempre quando si parla di progresso, la sconfitta è solo temporanea e le idee degli olandesi soppianteranno quasi del tutto il vecchio gioco.

Da allora l’Olanda non ha sconfitto i suoi demoni; orfana di Cruijff, raggiunge di nuovo la finale nei Mondiali del ’78, perdendo ai supplementari con l’Argentina. Nel 1988 vince l’Europeo, ma ormai la rivoluzione del calcio totale è lontana.

La Germania Ovest, con mestiere, sudore e il classico catenaccio, vince i Mondiali del ’74 ma perde l’appuntamento con la rivoluzione. Alla fine, però, le idee nuove trionfano sempre, bisogna solo decidere da che parte stare.

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