Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Alceo Dossena, uomo del Rinascimento nel Novecento

Alceo Dossena, uomo del Rinascimento nel Novecento

Alceo Dossena è passato alla storia come uno dei più grandi falsari della scultura, ma non solo. Dopo un breve periodo di fama in vita, l’uomo è oggi ritenuto un vero e proprio artista; la sua vicenda, inoltre, si presta a una serie di riflessioni.

Alceo Dossena nasce a Cremona nel 1878 da una famiglia piuttosto umile; si sa poco della sua giovinezza, il padre è un facchino al servizio delle Ferrovie dello Stato e il giovane da piccolo si appassiona all’arte. Naturalmente dotato, il dodicenne Alceo frequenta la scuola d’arte Ala Ponzone, dalla quale è tuttavia presto espulso.

Il ragazzo si impiega allora a bottega da un marmista locale, come scalpellino. Le sue prime opere sono dunque lontane dai fasti dell’accademia: sono semplici sculture funerarie; pare che alcune di esse siano ancora visibili nei cimiteri locali.

Una parentesi sul periodo storico che fa da sfondo alla giovinezza di Alceo Dossena è d’obbligo. La passione per l’antichità e per gli oggetti d’arte a essa riconducibili è in quegli anni una vera moda. Specialmente gli americani, privi di storia antica ma avidi di cimeli da esporre in musei e ricche collezioni private, sono interessati.

Attorno a questo nuovo business, com’è ovvio, nasce un sottobosco di mercanti, faccendieri, trafficanti e traffichini. E falsari.
La compravendita di antichi reperti, anche autentici, è talmente spregiudicata che nel 1902 si rende necessaria in Italia la prima legge a tutela dei beni culturali storici.

In questo clima fioriscono le carriere di abili falsari, in alcuni casi destinati alla fama; Federico Joni, per esempio, si specializza nell’imitazione dell’antica tecnica dei fondi oro senesi e fiorentini. La sua perizia è assoluta e le sue opere indistinguibili dagli originali; a un certo punto i suoi falsi sono talmente richiesti da influenzare il mercato degli originali.

Umberto Giunti è invece specializzato nella riproduzione di frammenti di antichi affreschi, ovviamente fasulli, e di dipinti ispirati allo stile del Botticelli.

Nel frattempo, il giovane Alceo Dossena è cresciuto e la sua tecnica si è sempre più affinata; la sua passione per l’arte è sincera. Come i grandi pittori falsari, Alceo non si limita a riprodurre sculture famose. No, le sue opere sono frutto della sua creatività e del suo talento, sono sue creazioni in tutto e per tutto, solo partorite con la tecnica rinascimentale.

È come una capsula del tempo vivente, Alceo. Un uomo del Rinascimento nato con quattro secoli di ritardo. Una caratteristica che induce un’ovvia riflessione, rivolta ai tanti che pensano irripetibili i talenti di Leonardo, Michelangelo o Raffaello ai giorni nostri. Non è così, ovviamente, fosse anche per una mera legge statistica. La capacità di disegnare o scolpire, alla fine, dipende da una predisposizione del cervello che non si capisce perché dovrebbe essere perduta rispetto ai tempi arcaici.

Semplicemente, l’arte moderna ha abbandonato gli schemi del Rinascimento. Le opere di Alceo Dossena – ma anche di tanti altri – stanno a dimostrare che grandi talenti come quelli di un Michelangelo nascono ancora; la scelta è quella di condannarsi a un tipo d’arte che non esiste più o aderire ai movimenti del tempo. O – magari – diventare abili falsari.

Quest’ultima è la scelta di Alceo, anche se nessuno sa se sia volontaria o dovuta alla sua buona fede. La scintilla da cui nasce la sua carriera è raccontata in modo quasi leggendario. Il giovane Dossena scolpisce nel 1916 una Madonna col Bambino di assoluta perfezione rinascimentale, per quanto – all’occorrenza – l’artista sia capace di riprodurre l’arte greca ed etrusca. Per darle quella patina di secoli che la rende così credibile, Alceo Dossena la lascia per giorni in un orinatoio.

Può sembrare una pratica sacrilega, è forse lo è, ma è solo il primo esperimento di alcune tecniche che porteranno i suoi marmi a una perfezione e credibilità inavvicinabili. Dossena ha il suo impiego, ma vorrebbe vendere la statua per arrotondare e utilizzare i proventi per fare i regali di Natale alla sua famiglia. Prova a rifilare il bidone a un barista, che non abbocca.

Curiosamente a cascarci è una persona più competente, un orafo che si chiama Alberto Fasoli. Quando l’uomo scopre di essere stato gabbato si dimostra machiavellico. Non se la prende, anzi rintraccia Alceo Dossena e lo prende al suo servizio; gli fornisce un laboratorio, i materiali e un regolare stipendio.

Per Dossena è un sogno: finalmente può dedicarsi alla sua arte senza pensieri. Per Fasoli è un affare: quelle sculture così perfette oltreoceano si vendono come il pane. Se Alceo sia a conoscenza del traffico illecito imbastito dal suo benefattore con altri complici come Elia Volpi non è sicuro. Alcuni dicono che Fasoli lo inganni, facendogli credere che in America si stia costruendo una chiesa in stile rinascimentale e che le sue statue finiranno lì; altri ritengono che Dossena fosse perfettamente a conoscenza del traffico illecito.

Quello che è certo è che a lui toccasse solo lo stipendio pattuito, ovvero le briciole di quello che è diventato un ghiotto affare.

Nel 1928 il traffico viene a galla e il banco salta. Fasoli denuncia Dossena ai fascisti, accusandolo di essersi macchiato di vilipendio verso una statua del Duce che stava scolpendo. Alceo denuncia a sua volta Fasoli. Se Dossena abbia veramente insultato il Duce e sputato sulla sua scultura, non lo sappiamo; certo la cosa lo renderebbe ancora più simpatico. Fatto sta che entrambi i procedimenti si concludono in un nulla di fatto.

Dossena, in particolare, gode delle simpatie di Roberto Farinacci, Ras di Cremona che – nonostante sia un pezzo grosso dell’insensato regime – si appassiona all’arte di Alceo.

Un articolo del 1928, pubblicato negli Stati Uniti sul celebre The Literary Digest, racconta la vicenda del 1923 da cui scaturiscono i primi sospetti. In quell’anno Helen Clay Frick, giovane collezionista d’arte, acquista un imponente gruppo marmoreo da Elia Volpi. La donna è figlia di Henry Clay Frick, magnate dell’acciaio e fondatore della collezione Frick.

Recatasi a vedere l’opera col critico Frederick Mason Perkins in un paesino vicino a Firenze, la donna si convince della sua autenticità. Forte del parere del critico, decide di acquistare la scultura. L’opera raffigura un’Annunciazione, divisa in due gruppi: un angelo e la Vergine. L’attribuzione è per Simone Martini, alla cui Annunciazione esposta agli Uffizi la scultura pare ispirarsi.

Vari studiosi condividono il parere di Mason sulla sua autenticità e Helen si convince; versa a Volpi ben 150mila dollari dell’epoca, una cifra sontuosa, pari a circa due milioni attuali. Poco importa che di Simone Martini, le cui iniziali SM campeggiano sull’opera, non si sia mai saputo che fosse anche scultore.

Per qualche tempo il gruppo marmoreo è oggetto di una serie di esami; alla fine gli esperti decidono che si tratta di un falso. La Frick chiede subito a Volpi di riprendersela e di risarcirla, ma il truffatore è a corto di liquidi e le propone uno scambio con un disegno di Leonardo da Vinci; se quello sia vero, non lo sappiamo.

L’Annunciazione di Dossena finisce regalata all’Università di Pittsburgh, dove è ancora oggi esposta.

Un altro celebre inganno si consuma ai danni del Museum of Fine Arts of Boston; la struttura acquista – anche qui per una cifra piuttosto cospicua – la tomba quattrocentesca di Maria Caterina Savelli. Nonostante l’opera funeraria sia attribuita al celebre Mino da Fiesole, anche qui la mano è quella di Alceo Dossena. La truffa suona ancora più grottesca, se si pensa che Mino era nato nel 1429 e la tomba portasse la data del 1430.

Lo scandalo, insomma, è inevitabile. Alceo Dossena, sorta di Forrest Gump della scultura, ne esce però immacolato. Anzi, per lui è l’occasione di una breve celebrità; un periodo in cui può non solo esporre le sue opere, ma finalmente farlo con apposta la sua vera firma. Le lancette del tempo, però, non possono essere riportate indietro e l’arte del Rinascimento è giusto che rimanga splendido retaggio della sua epoca.

La stagione della celebrità è breve, per Alceo Dossena. Quando nel 1938, ad appena dieci anni dallo scandalo mondiale, la morte lo sorprende a sessant’anni, Alceo è già stato dimenticato da tutti.

La sua storia è però sopravvissuta e riscoperta, tanto che oggi alcune sue opere sono finite a far compagnia nei musei a quelle dei suoi idoli rinascimentali.

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