Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Lewis-Evans, il grande rimpianto della Formula 1

Lewis-Evans, il grande rimpianto della Formula 1

Il 19 ottobre del 1959 la Formula 1 corre in Marocco per la prima e unica volta, almeno a livello Mondiale. Stirling Moss, Tony Brooks e Stuart Lewis-Evans sono al volante delle verdi e velocissime Vanwall.

La gara è l’ultima della stagione ed è quella che assegna i titoli mondiali. Per quello piloti sono in lizza due inglesi, Stirling Moss e Mike Hawthorn, con la Ferrari. Per vincere il titolo, Moss deve trionfare in gara e sperare che il biondo Mike non arrivi secondo. La prestazione di Brooks e di Lewis-Evans diventa così fondamentale.

Pare strano a pensarci oggi, con la Formula 1 sempre più vittima di strategie cervellotiche e complesse, ma anche all’epoca i campionati si vincevano prima nei box e dopo in pista. La tattica della Vanwall è semplice: Moss deve andare in testa e Lewis-Evans e Brooks gli devono coprire le spalle, impedendo ad Hawthorn di stare tranquillo alle sue spalle.

Alla Ferrari, per coprire il caposquadra, si conta su un americano di belle speranze, Phil Hill. Ma chi è Stuart Lewis-Evans, il pilota su cui Tony Vandervell conta per portare a casa la corona dei piloti?

Stuart nasce il 20 aprile del 1930 a Luton, nel Bedfordshire.
L’infanzia di Stuart è difficile; il ragazzino soffre di spondilite, tanto da dover trascorrere lunghi periodi su una sedia a rotelle. L’infezione viene curata con massicce dosi di antibiotici che, se da un lato risolvono il guaio, dall’altro lo indeboliscono paurosamente. Non solo, da allora Lewis-Evans soffre pesantemente di ulcere e il suo fisico rimane fragile, poco resistente.

Il padre del giovane, Lewis Pop Lewis-Evans, è un meccanico che possiede un’officina e pilota a tempo perso. Dopo il servizio militare Stuart inizia a correre con una Cooper 500 di Formula 3, a volte anche scontrandosi in pista col padre. Presto il talento del ragazzo esplode, facendo capire al padre che forse è l’ora di ritirarsi in buon ordine e seguire la carriera del figlio.

Lewis-Evans corre per anni nelle formule minori, vincendo un sacco di gare e facendosi notare nell’ambiente. Sfortunatamente, in quel periodo le squadre inglesi non sono ancora molto forti nella categoria regina, e la carriera di Stuart avanza lentamente. Nel 1957, un rampante uomo d’affari e pilota acquista del materiale dalla Connaught. La squadra britannica è in piena crisi, in parte dovuta alla grande qualità – non seguita da eguale successo – delle proprie auto.

L’investitore si chiama Bernie Ecclestone, ed è proprio lui a offrire a Stuart il volante di una Connaught Type B per debuttare in Formula 1. La gara scelta è forse la meno indicata per un debuttante, quella sul difficile tracciato di Montecarlo.

Stuart in realtà ha già corso tre volte in Formula 1, ma sempre in gare non valevoli per il Mondiale. Al Glover Trophy di Goodwood, addirittura, ha vinto. A Montecarlo, però, si trova in pista contro Fangio, Moss e tutti i piloti più forti del mondo. Il ragazzo di Luton, però, non si fa impressionare, tanto che la gara di Montecarlo rimarrà l’unica con la Connaught.

Sulle stradine del Principato, Stuart è tredicesimo in qualifica e – dopo una gara giudiziosa – riesce a portare la monoposto al traguardo in quarta posizione. Un debutto coi fiocchi che gli vale subito la convocazione alla Vanwall. Tony Vandervell è un industriale di successo che si è messo in testa di portare il verde inglese delle sue auto – le Vanwall, per l’appunto – ai primi posti, al posto del rosso di Ferrari e Maserati.

La Vanwall, col muso lunghissimo e la coda un po’ sgraziata, va che è una meraviglia. Nel 1957, con Moss e Brooks, vincerà ad Aintree, a Pescara e a Monza. Stuart arriva in punta di piedi, come gregario; alla seconda gara, ad Aintree, è secondo ma rompe a otto giri dalla fine. A Pescara fora, percorre i venticinque chilometri della pista su tre ruote, riparte come una furia e alla fine è quinto.

A Monza – alla sua sesta gara – Lewis-Evans segna la pole position, battendo Moss e Brooks nel Tempio della Velocità. In gara l’inglese si alterna in testa con Fangio, Moss e Brooks e pare avere grandi possibilità di vincere, ma il motore lo tradisce.
La Vanwall è velocissima ma fragile.

Per il 1958 Stuart si vede confermare come terzo pilota; per contratto è il gregario di Moss e Brooks, ma corre comunque per una delle squadre più forti ed è giovane. Il futuro pare riservargli grandi possibilità. Il fisico – sempre più minato dall’ulcera – è però il suo grande limite; Lewis-Evans è magrissimo e debole, corre con una bizzarra cintura legata stretta in vita e spesso la fatica lo debilita prima che la gara sia finita.

In più, la figura del terzo pilota non è svantaggiata solo sulla carta: Stuart dispone del materiale peggiore e, al Nurburgring, è costretto a fare da spettatore perché manca un motore per la sua Vanwall. Nonostante ciò, Lewis-Evans è velocissimo; a Montecarlo batte in prova Moss e a Zandvoort è di nuovo in pole. La sua prestazione è quasi incredibile, su un circuito di quattro chilometri dà un secondo netto sia a Moss che a Brooks.

In gara è ancora il motore a tradirlo mentre è ancora in lotta per la vittoria. L’apprendistato del giovane pilota prosegue benissimo: a Spa è terzo, a Silverstone quarto e in Portogallo ancora terzo. A Monza Lewis-Evans lotta ancora per la vittoria: quando rompe il motore è in piena lotta con Hawthorn, che alla fine sarà battuto da Tony Brooks.

Si arriva così alla gara del Marocco. La pista di Casablanca è molto insidiosa, velocissima e ricavata in parte da polverose strade destinate al traffico cittadino. L’anno prima si è già corso su quelle strade, ma la gara non era valida per il campionato. Stuart è fiducioso: quella volta è arrivato secondo, battuto solo da Behra ma davanti a Trintignant e a Fangio.

Durante le qualifiche l’imperativo è di stare davanti ad Hawthorn, o almeno di rimanergli vicino. Facile a dirsi, meno a farlo: il biondo Mike stacca la pole position. Moss è secondo, ma Stuart – pur con un motore non freschissimo – è terzo e comunque in prima fila. Brooks rimane staccato, solo ottavo: è chiaro che Tony Vandervell punta tutto su Stuart per difendere Moss.

Del resto, lo sanno tutti, Stuart Lewis-Evans è il pilota del futuro, quello su cui il patron conta per gli anni a venire.

La gara del Marocco è importante per Stuart anche per un altro motivo; l’ulcera va peggiorando e ha finalmente deciso di farsi operare per cercare di risolvere il problema. Per il 1959, se le cose andranno per il verso giusto, Lewis-Evans sarà pronto per il definitivo salto di qualità.

Al via le cose però si mettono subito male; il motore della Vanwall si avvia in modo farraginoso e Lewis-Evans perde molte posizioni. Dopo dieci giri il giovane è solo ottavo, mentre Hawthorn e Phil Hill fanno buona guardia alle spalle di Moss. Stuart rimonta, vuole ancora provare a dare il suo contributo, ma al 43° giro il destino presenta il conto al giovane fuoriclasse.

Il motore, quel motore che dava già problemi, si grippa in piena velocità e manda fuori strada la Vanwall. L’urto è violento, la monoposto prende fuoco ma Stuart è cosciente e – dopo aver respirato per un po’ i venefici fumi – riesce a liberarsi. Lewis-Evans, forse confuso dall’urto o dal panico, anziché gettarsi a terra per spegnere le fiamme che lo avvolgono e per aspettare i soccorsi, scappa lontano.

In un grottesco e drammatico inseguimento, i pompieri con gli estintori lo inseguono, mentre Stuart pare una torcia umana. Quando finalmente viene raggiunto e bloccato, i soccorritori riescono a fare il loro dovere.

La gara finisce con la vittoria di Moss; Hawthorn, però, è secondo ed è Campione del Mondo: è destino che Moss non riesca mai a vincere il titolo. Sulla vittoria di Mike, però, incombe la tragedia. Al Nurburgring Hawthorn ha perso Peter Collins, il suo più caro amico. Lui stesso – perseguitato da un misterioso male ai reni – ha già deciso di ritirarsi a fine anno.

Lewis-Evans rimane cosciente, ma le sue ustioni appaiono subito gravissime. Lo portano in elicottero all’ospedale più vicino, ma i medici si convincono subito che non ci sia nulla da fare. Vandervell non si rassegna: noleggia un aereo e porta in tutta fretta Lewis-Evans in patria, all’unità ustionati a East Grinstead nel Sussex. Grazie all’esperienza della guerra, la clinica vanta i più alti standard in Europa, se non nel mondo.

Sull’aereo l’atmosfera è surreale.
Mike Hawthorn non riesce a godersi il trionfo, perseguitato da oscuri presentimenti; solo pochi mesi dopo, Mike morirà in un incidente stradale che a molti sembrerà quasi un suicidio. Vandervell teme per la vita del suo pupillo e può esultare per la vittoria nella prima “Coppa Costruttori”.

Lewis-Evans, paradossalmente, pare il più tranquillo; è cosciente e sorseggia tè, chiacchierando coi passeggeri. Il ragazzo, avvolto dalle bende completamente, probabilmente soffre in modo indicibile, ma non vuole darlo a vedere. Purtroppo le ustioni e i gas respirati non gli danno scampo: muore sei giorni dopo la gara.

Alla fine dell’anno anche Tony Vandervell lascia la Formula 1. L’imprenditore, anziano e con qualche problema di salute, è segnato da un’annata trionfale ma tragica, e la morte del suo pupillo è il colpo di grazia.

Dove sarebbe potuto arrivare Lewis-Evans?
Difficile dirlo. Bernie Ecclestone sostiene che Stuart fosse talento allo stato puro; pur con materiale inferiore, il pilota era stato in grado di dare filo da torcere a Moss e Brooks, all’epoca fortissimi, ottenendo due pole in quattordici gare.

Con ogni probabilità l’albo d’oro della Formula 1, senza lo sciagurato incidente di Casablanca, sarebbe oggi molto diverso. Stuart, 28enne all’epoca, avrebbe forse risolto i guai di salute e avrebbe potuto correre almeno altri dieci anni; gli anni dei trionfi di Jim Clark e Graham Hill sarebbero potuti essere i suoi anni migliori.

Certo, coi se e con i ma non si va da nessuna parte, eppure pare doveroso fermarsi a ricordare Stuart Lewis-Evans. E a raccontare la sua storia, quella del pilota ormai dimenticato, ma che sarebbe potuto diventare il più forte del mondo.

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