Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Le storie degli imperatori romani: Augusto (Prima parte)

Le storie degli imperatori romani: Augusto (Prima parte)

Spesso, quando si parla di imperatori romani e di impero, si fa un po’ di confusione. Lo stesso passaggio dalla repubblica all’impero non fu certo una questione che si risolse da un giorno all’altro, premendo un tasto o facendo un decretone in stile governo Conte.

In questo nuovo spazio vi racconterò le storie degli imperatori, presi uno per uno e accompagnati dalle tante opere d’arte che li ritraggono.

E allora, per cominciare questa nuova rubrica che vi racconterà gli imperatori romani in modo cialtronesco, si deve partire per forza da Augusto, un personaggio talmente ingombrante che non basta un solo post anche a voler sintetizzare in modo spietato.

Il primo imperatore nasce come Gaio Ottavio Turino, ma un po’ come le rockstar passerà alla storia col nome d’arte: tutti lo conosceranno come Augusto, il Princeps. Augusto, che lo si ami o lo si odi, è uno dei grandi personaggi della storia dell’umanità. Intendo uno dei quattro o cinque più importanti in assoluto.

Che poi, spesso si scatenano liti e tifoserie anche sui personaggi storici. Io dico, ma perché dovremmo fare il tifo, pro o contro, o provare antipatia o simpatia per uno vissuto duemila anni fa? Non me lo spiego. E soprattutto, perché dovremmo giudicare col metro di oggi persone che agivano secondo codici morali totalmente diversi da oggi?

Augusto è il tipico genio, di quelli che nascono ogni mille anni. Non un genio come Einstein o Jimi Hendrix, no: lui non enuncia teorie e non brucia chitarre elettriche, lui è uno che ha la visione d’insieme, che sa come vanno le cose e che vede cosa succederà nel futuro, tanto da condizionare il presente per i suoi scopi. Augusto impara dagli errori di Giulio Cesare e perfeziona quello che il condottiero aveva in mente: prendere il comando totale delle operazioni a Roma.

Va detto, Augusto è un genio con mission e vision, come in una grande impresa, ma ha i mezzi per farlo. I suoi natali non sono certo quelli umili di un plebeo: è pronipote proprio di Giulio Cesare (sua nonna è la sorella del condottiero), ma è imparentato anche con Pompeo. Insomma, il fanciullo ha il culino ben parato.

In un’epoca di gladiatori, virilissimi maschi alfa e marcantoni (nel vero senso della parola), il fisico non lo aiuta. Augusto è gracile e malaticcio. Diciamolo: il futuro imperatore è un po’ come quei vecchi zii che ognuno di noi ha in famiglia, quelli che sembrano sempre lì lì per renderla e che alla fine sotterrano tutti. Augusto, infatti, comincerà presto a sopravvivere a chi gli vuole bene e a chi gli vuole male.

Fin da ragazzo è preso in simpatia da Giulio Cesare, che sarà pure un gelido e sadico sterminatore, ma ha un certo occhio per queste cose. Partecipa a un trionfo senza nemmeno sapere da che parte si impugna la spada, si trova in Spagna per volere del prozio durante le campagne di guerra ma lo fa da attore non protagonista.

Cicerone, uno che la sapeva lunga ma che a proposito di Augusto prenderà una serie di cantonate che alla lunga gli saranno fatali, racconta di averlo sognato mentre scendeva sul Campidoglio appeso a una catena d’oro. Cesare lo adotta a sua insaputa e lo manda a perfezionare gli studi ad Apollonia, città albanese allora greca. Anche lì assiste alla predizione di una sorte gloriosa.

E Augusto si trova proprio ad Apollonia quando succede il fattaccio: Giulio Cesare viene ucciso in una delle congiure peggio riuscite della storia. Non tanto per il risultato, quanto per le conseguenze che tutti conosciamo, dal discorso di quel pezzo di marcantonio di Marco Antonio alla guerra civile che ne seguirà.

Qui però ci interessa Augusto che, in quei frenetici giorni del 44 a.c. apprende la ferale notizia e al tempo stesso dell’immensa eredità che gli tocca. Sapete il vecchio cliché della notizia buona e di quella cattiva? Una cosa del genere.

Vista l’aria che tira, un’aria gelida di pugnalate, tutti gli consigliano di farsi i beati fatti suoi e di rimanersene ad Apollonia fino a che non sia chiaro da che parte tira il vento. Augusto, però, ha una visione chiarissima di quale sarà il futuro, soprattutto perché quel futuro ha intenzione di plasmarlo a suo piacimento.

Augusto decide allora di andare subito a Roma a prendersi i tre quarti che gli spettano dell’enorme fortuna di Cesare, il prozio che diventa provvidenzialmente padre, e di recitare la parte del giovanotto un po’ sprovveduto. Ma c’è una cosa ancora più importante di cui Augusto prende possesso quel 21 maggio, a Roma: il nome di Giulio Cesare, che spetta solo all’erede principale.

Partito da Apollonia come il giovane un po’ ingenuo ma di belle speranze Gaio Ottavio Turino, il 21 maggio diventa Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Un nome che ben presto fa tremare chi ha congiurato contro Cesare.

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