Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

LE STORIE DEGLI IMPERATORI ROMANI: AUGUSTO (2^ PARTE)

LE STORIE DEGLI IMPERATORI ROMANI: AUGUSTO (2^ PARTE)

Eravamo rimasti all’arrivo di Ottaviano a Brindisi il 21 maggio del 44 a.c., prima tappa verso Roma, dove il giovane vuole prendere possesso dell’eredità che gli spetta.

Ma qual è la situazione che Ottaviano trova a Roma dopo la morte di Giulio Cesare?
I cesaricidi, che avevano pensato di ammazzare Cesare e di venire portati in trionfo da quel popolo che – in buona fede o no – era sempre stato oggetto della benevolenza del condottiero, si rendono conto tardivamente di averne pestata una enorme.

Marco Antonio, uomo tanto brillante come militare quanto scarso come politico e che fa della confusione la sua linea d’azione, pronuncia la storica orazione funebre per Cesare (che no, non è quella di Shakespeare, quella è molto bella me se l’è inventata William mille e cinquecento anni dopo) e infiamma il popolo romano.

Tuttavia, anziché affondare il colpo verso i congiuranti, li lascia andare con un’amnistia e quelli si danno alla macchia senza farselo ripetere.

Marco Antonio, col suo discorso, si ritrova un consenso popolare pressocché totale e riesce in un’impresa degna di Salvini: fa una cazzata dopo l’altra e – nel giro di qualche anno – perde tutto.

Dall’altra parte c’è il Senato e in particolare Cicerone che, al contrario di Marco Antonio, è un politico di acume e raffinatezza leggendari. Uno che, pur di stare al potere, passerebbe sopra a convinzioni, principi, amici e parenti. Uno talmente innamorato di se stesso da non capire quando si trova davanti chi gli è superiore.

Marco Antonio e Cicerone sono l’opposto su tutto, una sola cosa li unisce: l’opinione su Ottaviano. Tutti e due sono infatti convinti di poter manipolare quel giovanotto ingenuo e che tiene il profilo basso. Entrambi sono convinti di essere più furbi.
Tutti e due ci lasceranno le penne.

Cicerone definisce Ottaviano un “ragazzo mandato dagli dèi”. E’ convinto di rigirarselo come un calzino e di metterlo al potere facendone il suo pupazzo da ventriloquo. Marco Antonio, da buon soldatone virile che disprezza le sottigliezze intellettuali, lo tratta con un paternalismo che manco un leghista con Greta Thunberg.
Ottaviano, zitto zitto, si è già fatto i suoi bei piani.

Un po’ come Arlecchino servitore di due padroni o, se volete, Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”, illude prima uno e poi l’altro di essere il più fedele degli alleati e il più malleabile degli stupidi. Non deve nemmeno prendersi la briga di metterli uno contro l’altro, che quelli non si sparano giusto perché le pistole ancora non le hanno inventate.

Mentre Cicerone s’ingegna a scrivere le sue Filippiche, ovvero a scavarsi una bella fossa profonda, e Marco Antonio fa il gallo in Gallia, Ottaviano mette insieme il suo esercito affascinando i veterani di Cesare col suo savoir faire e col suo cognome nuovo di zecca. Porta il senato dalla sua facendosi paladino della tradizione e blasta malamente Marco Antonio a Modena, salvo poi tendergli la mano.

A Modena, per inciso, muoiono misteriosamente i due consoli in carica, Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa. Quando qualcuno insinua che sia stato lui a fargli le scarpe, Ottaviano sfoggia il suo fascino alla Daniel Craig e convince tutti che non c’entra niente. Poi però, guarda caso, si prende il consolato nonostante – per dirla con Gigliola Cinquetti – non abbia l’età. Ottaviano ha infatti poco più di vent’anni ma ha dalla sua una caratteristica più convincente: l’esercito.

Una volta preso il potere, il “ragazzo mandato dagli dèi” decide che è arrivato il momento di togliersi i primi sassolini dai calzari, ovvero vendicare Giulio Cesare. Come Stallone in Rambo 2, come Liam Neeson in “Io ti troverò” e come Edmond Dantés nel “Conte di Montecristo”, nel viaggio dell’eroe di Ottaviano giunge il momento della rivalsa.

L’idea di Ottaviano è quella di farsi dittatore per portare la pace. La sua idea di pace, però, passa per un bagno di sangue. Svetonio, col dono della sintesi tipico dei Romani, riassume così:

“Augusto combatté cinque guerre civili: a Modena, a Filippi, a Perugia, in Sicilia e ad Azio. La prima e l’ultima contro Marco Antonio.la seconda contro Bruto e Cassio. La terza contro Lucio Antonio, fratello del triumviro e la quarta contro Sesto Pompeo, figlio di Gneo.”

Io, pur nel mio modo da cialtrone della storia, scendo in qualche dettaglio in più.
Bruto e Cassio sono scappati nella lontana Farsalo. Lontana, ma non abbastanza.

Come in un fumetto della Marvel, Ottaviano mette su un trio con Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, il Pontefice Massimo. Ce lo vedete Papa Francesco che si mette elmo, armatura e spadone e va a dare la caccia a Putin? Manco io, e poi Lepido rimane a Roma, ma la scena sarebbe gustosa.

Nasce insomma il Secondo Triumvirato, ma qui la cosa è complicata e la vedremo nella prossima puntata della nostra saga.

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