Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

La voce registrata, il mio nuovo romanzo breve per Delos

La voce registrata, il mio nuovo romanzo breve per Delos

Ci siamo: è uscito La voce registrata per Delos Digital, un romanzo breve a cui tengo molto che ho scritto un po’ di tempo fa e che finalmente ha trovato la sua via.

La storia è ambientata nell’estate del 1974, a Roma e si può definire un classico giallo sociale, un hard-boiled all’italiana. Ricordo che l’ispirazione mi venne leggendo una di quelle notizie acchiappa-like, quelle che non sai mai se sono vere o se sono storielle inventate apposta per commuovere qualche anima pura. Magari la ricordate pure voi, era la vicenda di una vecchina che tutti i giorni andava alla fermata della metro e se ne stava lì, ad ascoltare gli annunci dei treni.

Lo faceva perché la voce dello speaker era del marito, che non c’era più, ed era l’unico modo per sentirla ancora. Beh, il mio giallo si basa su una storia simile, solo che ovviamente qui va tutto a finire male.

Il protagonista è un ispettore principale, qualifica che esisteva all’epoca – oh, ragazzi, un po’ studio pure io quando scrivo – e che si chiama Lorenzo Abruzzese, un personaggio che spero ritroverete. Lorenzo è un buon diavolo, ma finisce sempre per ficcarsi in situazioni difficili, come quella con la fidanzata Ligeia. Indovinate un po’ chi mi ha ispirato il nome della ragazza?

Il libro esce per ora solo in e-book, campo in cui Delos non teme rivali, e costa appena 3 euro, meno di una 0.3 di birra alla Festa della Marrocca di Casalincontrada, quindi su, non fate gli spilorci! Un click e ve lo ritrovate nel Kindle, che per me è una delle invenzioni del secolo.

Il protagonista in una illustrazione secondo l’AI

Vi lascio l’incipit del romanzo, tanto per farvi un’idea, gli asterischi sono per fare contento il nostro Zuck, nell’e-book non ci sono mica:

*****

Mi guardai nello specchio e l’immagine restituita non mi piacque per niente.
La pelle era secca e tirata, sembrava che nella notte mi fossero spuntate rughe nuove, proprio agli angoli degli occhi e in mezzo alla fronte.
Le occhiaie avevano un colorito scuro che non prometteva nulla di buono e l’occhio sinistro era iniettato di sangue. La sensazione di un corpo estraneo all’interno del bulbo era lancinante ogni volta che abbassavo la palpebra e lacrime calde e pesanti prendevano a scendere sulla guancia.

Non potevo andare avanti così.
– Non possiamo andare avanti così – disse la voce impastata alle mie spalle.
Mi voltai, Ligeia era una sagoma sulla soglia della porta del bagno, delineata dalla luce che filtrava dal corridoio. Venne avanti, n*da com’era, e mi abbracciò.
Non era da lei. Decisamente c’era da preoccuparsi, ma in quel momento non potevo.
La telefonata di De Rossi era arrivata dieci minuti prima, facendomi bruscamente uscire da un sogno che faticavo a ricordare, ma che mi aveva lasciato una forte impressione di angoscia. L’ispettore aveva fatto appena in tempo a farfugliare qualcosa su una donna finita sotto la metro, a Rebibbia, e di raggiungerlo nel più breve tempo possibile.
Mi lavai, cercando di far defluire nello scarico del lavandino il mio aspetto terribile, assieme all’acqua e al sapone.
Senza successo, va da sé.
Ligeia intanto aveva preparato il caffè e se ne stava seduta al tavolo in cucina, ancora senza vestiti addosso e girando meccanicamente il cucchiaino dentro la tazzina. Mi avvicinai e buttai giù la bevanda con un lungo sorso. Una vera brodaglia.
– Allora? Che ca**o è successo? Il telefono mi ha fatto prendere un mezzo colpo.
– Hanno preso sotto una con la metro, a Rebibbia.
– Embé? – fece lei, sorridendo beffarda. – C’è bisogno di scomodare il Signor Ispettore Principale per una stron*ata del genere?
– Qualche anno fa no, ma da quando i tuoi amichetti del cuore se ne vanno in giro a buttare bombe un giorno sì e uno no, ci chiamano pure se mettono sotto un gatto – le risposi strascicando le parole. Avevamo affrontato l’argomento tante di quelle volte che solo a parlarne mi sentivo un sapore rancido in bocca; o magari era quello schifo di caffè.
– E poi non credo che la definirebbe una stron*ata, quella povera crista che è finita sulle rotaie – aggiunsi con un discutibile guizzo di sarcasmo.
Ligeia finalmente mollò il punto invisibile che stava fissando e alzò i suoi begli occhi blu verso di me: – È morta?
– Tu che ne dici? Hanno trovato i pezzi sparpagliati per tutta la stazione – le feci io fingendo noncuranza. Ero stato cattivo, ma volevo ferirla, e me ne pentii subito.
– Non possiamo andare avanti così – mi fece di nuovo lei, e tornò a fissare il vuoto.

Presi la giacca dal divano, anche se fuori c’erano trenta gradi già a quell’ora, e uscii chiudendo piano, senza dire niente.

*****

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