Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Carlos Reutemann, il “Gaucho triste”

Carlos Reutemann, il “Gaucho triste”

Anche nel mondo dei magnifici perdenti, quello che siamo qui a scandagliare con curiosità e ammirazione quasi sociologica, esistono delle categorie.

Per esempio, ci sono i predestinati alle sconfitte ripetute, quelli che perdono anche le battaglie, per intenderci; i Chris Amon, gli Andrea De Cesaris, i Jean Pierre Jarier e i Nick Heidfield, tutti piloti fortissimi ma incapaci – per sfortune e limiti caratteriali – di vincere anche una sola gara in tutta la lunghissima carriera.
Poi ci sono quelli che non si fanno intimorire dalla singola battaglia, ma sono incapaci di vincere la guerra, un po’ come si diceva di Annibale Barca, il più fiero avversario della gloriosa Roma antica.
Sono piloti come Moss, Jacky Ickx, Ronnie Peterson e quello di cui parliamo qui, forse il caso più emblematico di tutti: Carlos Reutemann.

Argentino dagli occhi di ghiaccio, bello, intelligente e malinconico; il Gaucho triste, per una stampa sempre pronta a sfornare luoghi comuni, “un pilota tormentato e tormentoso. Capace di risolvere situazioni difficili, supplendo anche ad occasionali deficienze meccaniche, ma labile a sciupare per emotività congenita risultati acquisibili in partenza” secondo le celebri parole di Enzo Ferrari, abile nel tracciare giudizi tagliati con l’accetta e che gli offrì un volante per due stagioni complete, 1977 e 1978.

Ma chi è realmente Carlos Reutemann?

A dispetto del cognome tedesco, Carlos è un uomo malinconico e fatalista come solo un sudamericano può esserlo, e a dispetto della nazionalità argentina, è ombroso e taciturno, ben lontano dall’idea del latino allegro e caciarone.
Reutemann vince ben dodici gare, senza mai aggiudicarsi il Titolo Mondiale.
Nel 1981, l’anno in cui ci va più vicino, perde all’ultima gara per un solo punto in meno di Nelson Piquet, dichiarando fin da luglio, quando è largamente in testa: “Se succede, succede. Sì o no, la vita sarà la stessa. Il sole sarà nello stesso posto.”

Il giornalista Nigel Roebuck lo definisce una celebrità involontaria, tanto è basso il profilo che tiene e quando, finalmente, Carlos riesce a farsi sfuggire l’alloro all’ultimo appuntamento, quasi con premeditazione, perfino l’avversario Piquet è dispiaciuto per lui: “Mi spiace per la delusione che ha provato Carlos, so che ci teneva tanto.”
Reutemann, come sempre, è il più fatalista e rassegnato: “Era destino che finisse così.”

Ma riavvolgiamo il nastro fino al 1972.
È il 23 gennaio e si corre la prima gara della stagione, a Buenos Aires.

Carlos Reutemann ha già trent’anni, ha iniziato tardi a gareggiare ma si è presto fatto un nome nelle gare di Formula Due sudamericane, la cosiddetta Temporada. A quelle latitudini, si sa, le stagioni funzionano al contrario rispetto all’epicentro dell’automobilismo.

Nel ’72, in ogni caso, è l’Automobile Club a rimediare i soldi per sponsorizzare una stagione quasi completa in Formula Uno, e Carlos debutta proprio nella gara di casa; è il proverbiale fulmine a ciel sereno: con una Brabham che da tempo fatica quasi a qualificarsi, col vecchio, eroico Graham Hill, Reutemann si piazza in pole position. Al debutto.
In gara si mette alle spalle di Stewart, troppo veloce per lui; problemi di varia natura lo attardano, un surriscaldamento gli ustiona i piedi.

Alla fine è solo settimo: “Se non fossi stato in Argentina, mi sarei ritirato” dichiara Lole, come lo chiamano tutti.

Corre gran parte della stagione, cogliendo un quarto posto in Canada; la Brabham a tratti è veloce, ma poco affidabile, e così l’anno dopo, quando diventa il pilota di punta della squadra. Due podi, sedici punti e il settimo posto in campionato sono il suo bottino.
Ma è nel 1974 che Reutemann inizia a fare sul serio.
La Brabham è finalmente competitiva per la vittoria, anche se non sempre arriva in fondo.

In casa, a Buenos Aires, domina per tutta la gara, fino all’ultimo giro: il motore cede e vince il vecchio Hulme. In Brasile Carlos scatta in testa ma poi arretra per una serie di problemi, alla fine è solo settimo, ma la vittoria è solo rimandata alla pista successiva, in Sudafrica.
L’argentino triste vince tre gare, quell’anno, ma alla fine è solo sesto: gli mancano i piazzamenti. L’anno dopo accade il contrario: una sola vittoria – sul massacrante Nurburgring – e tanti punti, alla fine è terzo. Lo stesso anno, però, gli viene affiancato il brasiliano Pace, un altro Carlos dal temperamento latino ma tutt’altro che spumeggiante, e Lole inizia a patire uno dei limiti che in futuro lo contraddistingueranno, la sofferenza verso i compagni di box.
Nel ’76 Ecclestone – patron allora della Brabham – pensa di fare il colpaccio, assicurandosi i motori Alfa Romeo. La prima stagione è invece un disastro, Carlos ottiene solo tre punti e – dopo il rogo di Lauda – paga la penale per svincolarsi e si accasa alla Ferrari. In quel momento la possibilità che Niki torni anche solo a gareggiare è remota e Reutemann è l’uomo su cui Ferrari in persona punta tutto.

L’anno dopo, però, l’austriaco si presenta pimpante, dopo aver perso il titolo del ’76 per un solo punto, e nonostante un avvio promettente di Reutemann, il titolo va a Lauda.

C’è sempre qualcosa che non va, per Carlos: se non è il motore, sono le gomme; se segna la pole lo fanno partire dal lato sbagliato, se domina una gara, puntualmente la volta dopo si disunisce. A metà campionato è ancora pienamente in lizza, poi si perde e alla fine è solo quarto.
Lauda, in rotta col Drake Ferrari e attirato dai dollari dell’ingaggio, se ne va alla Brabham e Carlos diventa il numero uno della squadra. Pare lanciatissimo, ma il 1978 viene condizionato da una serie di fattori; Chapman, il vulcanico progettista della Lotus, azzecca l’ultimo colpo di genio della sua vita con l’effetto suolo che rende imbattibili le sue nere monoposto; la Ferrari, inoltre, si fa tentare dalle gomme Michelin, all’esordio.

Il sorpasso su Lauda a Brands Hatch ’78 in un dipinto di Michael Turner

Un fattore destabilizzante che rende la monoposto di Carlos imbattibile o inguidabile, a seconda dell’umorale stato degli pneumatici. Il risultato è che Reutemann vince ben quattro gare, ma alla fine è solo terzo.

Il suo peculiare talento nello sbagliare le scelte di mercato si manifesta allora in tutto il suo splendore. La Lotus deve rimpiazzare Peterson, morto a Monza, e tra Reutemann e Jarier sceglie l’argentino. Pare la volta buona, tanta è la superiorità della compagine inglese; e invece nel 1979 è l’abbandonata Ferrari a dominare, mentre la Lotus è l’ombra della mattatrice di solo dodici mesi prima. Reutemann dà tutto, surclassando il velocissimo compagno Andretti, campione in carica, ma l’auto proprio non va. Fino a metà campionato, pur senza ottenere vittorie, Carlos è in lizza per il titolo, poi il buio: nella seconda parte non segna nemmeno un punto.

Il 1979 mette in evidenza sul finire la Williams come squadra da battere, e Carlos viene ingaggiato al posto di Regazzoni. Il contratto è rigidamente da seconda guida, con Alan Jones caposquadra. Per un anno Reutemann fa il bravo gregario, accontentandosi di vincere a Montecarlo e di coprire le spalle al compagno, che diventa Campione del Mondo. Carlos è terzo, finendo per ben otto volte sul podio.

L’anno dopo, però, Carlos non ci sta, rompe i patti e disattende gli ordini di scuderia.

In Brasile è primo, più veloce di Jones, quando gli espongono dai box un cartello che lo invita a cedere la vittoria; Lole tira diritto e va a vincere: “Quando ho visto il cartello mi sono detto se cedo ora mi fermo e me ne vado immediatamente nel mio podere!”
Non è così che si corre in Formula Uno, cedendo il passo a chi è meno veloce. Carlos però sa bene che il suo sgarro non rimarrà senza conseguenze. Frank Williams e Alan Jones gliela giurano, a discapito dello stesso team: anziché puntare su Carlos, quell’anno più veloce, nessuno lo aiuta e a Las Vegas, l’ultima gara, il Gaucho triste si presenta con un solo punto di vantaggio su Piquet.
Sembra una volata al rallentatore, quella tra Piquet e Lole, pare che nessuno dei due voglia vincere. A Las Vegas Carlos segna la pole, ma si vede che non è tranquillo; parte male, si fa superare da Nelson e crolla emotivamente.

Non c’è nulla di particolare a non andare sulla sua Williams, la stessa con cui ha segnato la pole e con cui Jones vince dominando; eppure Reutemann corre senza nerbo, concludendo il suo personale calvario all’ottavo posto.
Il titolo va al rivale, per un solo punto.

È la fine, per Carlos.
L’inverno passa con un assurdo tira e molla, senza che si capisca se vuole ritirarsi, come ha fatto Jones, o continuare a tentare un assalto che ormai sa lui stesso essere inutile.
E invece a quarant’anni Carlos si ripresenta in Sudafrica, il 23 gennaio del 1982, esattamente dieci anni dopo il debutto, e si piazza secondo dopo un’ottima gara. In Brasile, però, conclude la corsa con un incidente e – fedele al personaggio tormentato, dubbioso e indeciso – ci ripensa ancora, stavolta definitivamente.
La decisione è forse quella giusta, nella stagione più tragica della Formula Uno. C’è anche la guerra delle Isole Falkland che lo rende indesiderato in Gran Bretagna.
Il Gaucho triste si mette in politica, arrivando a ricoprire cariche molto importanti, col fatalismo di sempre, quello che lo ha fatto passare indenne, con la sua espressione indecifrabile e lo sguardo di ghiaccio, attraverso successi occasionali e fallimenti sostanziali.

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