Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Vittorio Brambilla, l’uomo della pioggia

Vittorio Brambilla, l’uomo della pioggia

Spielberg, 17 agosto 1975

Il Gran Premio d’Austria, nella Formula Uno degli anni Settanta, era il tradizionale appuntamento di Ferragosto. Si correva sull’Österreichring, conosciuto anche come Zeltweg a causa della denominazione del precedente autodromo.

Il circuito era preso d’assalto da un folto manipolo di tifosi italiani, grazie al concomitante periodo di ferie; su tribune improvvisate, a torso nudo e con la birra d’ordinanza in mano, si riconoscevano per le bandiere italiane o ferrariste.

Nonostante si fosse in Austria, il sole non mancava di picchiare, rendendo ancora più epica la scampagnata.

Quel giorno, però, a Spielberg il cielo è coperto da nuvoloni neri gonfi d’acqua e di presagi. La mattina, durante il warm up, Mark Donohue con la March schierata da Penske, ha avuto un incidente; la vettura è decollata sui dolci declivi austriaci, andando a sfondare un cartellone pubblicitario. Soccorso da Fittipaldi e Stuck, oltre che dai commissari, il pilota è ferito gravemente, ma non sembra in pericolo.
Morirà dopo tre giorni per le ferite al capo.

https://www.youtube.com/watch?v=xlJD6jW-jMY&t=632s

La gara parte sotto la pioggia scrosciante, con Lauda e Hunt che prendono il largo; è proprio il caso di dirlo: la Ferrari e la Hesketh sembrano due motoscafi. Alle loro spalle il temerario Depailler che – forse anticipando il via – si ritrova terzo dalla settima piazza da cui partiva. Dietro di loro Stuck, fortissimo con la pioggia, Fittipaldi, Regazzoni e una vettura arancione.
È quella di Vittorio Brambilla.

7 settembre 1969, Imola

A Imola si svolge il Gran Premio Motociclistico delle Nazioni.
A tenere banco è l’assenza di Giacomo Agostini, per protesta verso lo spostamento della gara da Monza a Imola. A vincere è così Alberto Pagani.
Come spesso accade, però, la storia più interessante si annida nelle retrovie.
Dodicesimo giunge un pilota all’unica esperienza nel mondiale 500: Vittorio Brambilla.

Vittorio ha già 32 anni, un’età in cui molti suoi colleghi sono già affermate star internazionali. Vittorio è fratello di Tino, pilota di buon livello che ha anche sfiorato la Formula Uno con la Ferrari; si qualifica a Monza lo stesso anno ma per una serie di problemi non riesce a partire. Tutti e due sono figli di Carlo, meccanico titolare di un’officina e nati a Lesmo, il comune che dà il nome a una delle curve più famose di Monza.

Hanno le corse nel sangue, ma i soldi sono pochi e i due corrono come possono, alla buona.

Tino corre in moto, corre in salita, corre in macchina; insomma, dove capita. E vince, tanto. Vittorio gli va dietro, spesso usando i suoi scarti, a volte facendogli da meccanico. Nel 1972 prova la Formula Tre; è un po’ stagionato, in mezzo a quei ragazzini, ma vince il campionato. L’anno dopo, con la March dismessa dal fratello, tenta la Formula Due: vince due gare ed è quarto in campionato. Il suo team: lui e un meccanico.

A Monza, nella gara 4 Ore di Turismo, con una vecchia Bmw 635 che sta su col nastro adesivo, dà battaglia a Stewart e Lauda. Col suo atteggiamento naif, si presenta da Enzo Ferrari per chiedergli un ingaggio; il Drake è stupito dalle sue doti e dal personaggio, ma punta su Lauda e Regazzoni. La Beta Utensili però crede in lui e lo sponsorizza: da allora Brambilla legherà le sue imprese all’arancione dell’azienda.

Grazie allo sponsor si accasa alla March per la stagione 1974.
La monoposto non è certo un fulmine di guerra, ma Brambilla – esordiente a 37 anni – si fa notare; spesso dà la biada a Hans-Joachim Stuck, compagno di colori. In Austria è sesto cogliendo il primo e unico punto dell’anno.

Per il 1975 la March mette a punto la 751, vettura con cui punta in alto e che ha solo un grave difetto: monta i freni della Formula Due.

Vittorio inizia ad andare forte, respirando stabilmente l’aria d’alta quota in qualifica.
In Sud Africa è settimo, a Barcellona quinto in prova e in gara. In Belgio parte terzo e in pochi giri passa Lauda con una staccata a ruote fumanti; l’austriaco si dichiara sbalordito dalla manovra. Poco dopo supera Pace e si ritrova finalmente in testa alla gara; dura poco: prima una gomma, poi i soliti freni e Vittorio si deve fermare.

In Svezia fa segnare addirittura la pole position; Max Mosley, patron della March, la spara grossa: “Vittorio Brambilla può essere in corsa per il mondiale. Noi, come March, abbiamo scoperto parecchi piloti, da Peterson a Lauda a Jarier; Vittorio è il migliore di tutti”.

In gara Brambilla conduce sicuro per 15 giri, poi una serie di problemi lo costringono alla resa.

Vittorio appartiene alla schiatta dei piloti di cuore; spesso osa troppo e incorre in ripetuti incidenti. Quando gli va bene è però velocissimo; la sua competenza di meccanico lo rende prezioso come collaudatore, la sua grinta feroce è croce e delizia. In più, Brambilla, ha una tale sensibilità che sotto la pioggia diventa quasi imbattibile.

Con la tuta aperta sul torace villoso, Vittorio gira per i box venendo scambiato spesso per un semplice meccanico. Occhiali da sole e – pochi – capelli scarmigliati, le rughe di chi ha badato molto a vivere e poco a curarsi di cosa pensino gli altri, Brambilla è soprannominato Monza’s Gorilla. Il gorilla di Monza.

Spielberg, 17 agosto 1975

Sotto la pioggia che batte, le monoposto completano il primo giro. Brambilla ha già superato Regazzoni, molto prudente nel fortunale. Davanti Lauda, Hunt e Depailler fanno il vuoto. In pochi giri il gorilla di Monza fa un boccone di FittipaldiCampione del Mondo in carica – e del compagno Stuck; tira una staccata impossibile a Depailler, che rimane quasi sorpreso di trovarselo affiancato.

https://www.youtube.com/watch?v=BaOf6YG71PM&t=3s

A quel punto Lauda e Hunt sono lontani, ma Giove Pluvio decide di soccorrere il suo figlio prediletto; la pioggia si trasforma in diluvio. Lauda – poco amante di queste condizioni e forse in difficoltà con l’assetto – gira pianissimo e rallenta Hunt.

Brambilla tira come un forsennato, lotta col volante dell’arancione March come farebbe un timoniere sotto la tempesta. In poche tornate è a ridosso dei due.

Hunt pare svegliarsi e attacca all’esterno Lauda, che bada a fare punti per il titolo e oppone stavolta scarsa resistenza. Il biondo James pare respirare, ma in due curve Brambilla fa quello che lui aveva fatto in 15 giri: passa Lauda come fosse fermo.

James resiste quattro giri, poi Vittorione supera pure lui e si invola nella pioggia sempre più violenta. Brambilla pare in trance, gira quattro o cinque secondi più veloce degli altri; il pubblico italiano, che attende la vittoria di un pilota di casa da nove anni, prima lo incita, poi si spaventa. Quando i tifosi si rendono conto che a ogni curva Vittorio conduce una disperata lotta contro le leggi fisiche, iniziano a gridargli: “Piano! Piano!”

Ma quel 17 agosto, per l’unica volta in carriera, a Vittorio va tutto dritto; l’ultimo colpo di fortuna è l’aumentare parossistico della pioggia, che porta alla sospensione della gara poco dopo la metà. Davanti all’improvvisa bandiera a scacchi, Vittorio impazzisce per la gioia, stacca le mani dal volante e perde il controllo della March, finendo a baciare il guardrail.

Poco importa, la gara è vinta e l’alettone ciondolante con cui rientra ai box sarà il suo souvenir d’Austria, più della coppa; per anni rimarrà esposto nella sua officina.

Brambilla è l’eroe di un giorno, ma il destino da outsider non cambia. Alla gara successiva, nella sua Monza, i tifosi scrivono su uno striscione: “Con Ferrari e Brambilla Monza brilla”. Non sono versi ricercati, ma rendono l’idea di come il gorilla abbia fatto breccia nel cuore degli appassionati. Al via, però, Vittorio si emoziona, si incasina e brucia la frizione.

Il 1976 va ancora peggio; la March è velocissima ma fragile, Vittorio è quasi sempre coi primi ma non arriva mai alla fine. Spesso sbatte, o porta la meccanica talmente al limite da rompere qualcosa, altre volte è la macchina che è troppo delicata.

Al Fuji, il giorno che passa alla storia per l’abdicazione di Lauda, compie un’impresa come quella dell’Austria dell’anno prima. Sotto il diluvio si porta quasi in testa, si gira, recupera di nuovo ma rompe il motore. A fine campionato lo score segna un solo punto.

Lo stesso anno, in più, alla March arriva Peterson e diventa un po’ il cocco di casa; Brambilla, che non ha un carattere portato alla diplomazia, sbatte la porta e se ne va alla Surtees. Per due anni lotta con una monoposto molto più affidabile ma poco competitiva.
A Zolder, ancora sotto il diluvio, arriva quarto ma potrebbe vincere, senza un cambio gomme al rallentatore.

10 settembre 1978, Monza

Monza è decisamente il luogo del destino, per Brambilla.
La gara del 1978 è ricordata per il tragico incidente in cui perde la vita Ronnie Peterson; pochi si rammentano di Brambilla che – colpito al capo da una ruota nello stesso episodio – rimane in coma per molto tempo.

All’inizio pare lui il più grave, visto che Ronnie ha le gambe distrutte ma è cosciente.

E invece Vittorio il duro si riprende e torna addirittura a correre con l’Alfa Romeo, squadra con cui ha vinto moltissimo nelle gare Sport. La casa di Arese vuole rientrare nella massima formula e lo sceglie come collaudatore. E se in pista la squadra punta sul giovane Giacomelli, Brambilla ha l’occasione di dimostrare che lui non si piega; a quarantadue anni, proprio a Monza, torna in gara e – nonostante usi il modello più vecchio – si qualifica ad appena sei decimi da Giacomelli.

In Canada è settimo quando si ferma per un guasto all’accensione.

L’anno dopo, però, l’Alfa gli preferisce Patrick Depailler, che sarà vittima di un incidente mortale. Vittorio viene richiamato e corre due gare con le pericolose wing car di quell’anno: l’ultima proprio a Monza, tanto per cambiare. Per le rimanenti due corse gli viene preferito il giovanissimo Andrea De Cesaris, uno che pare lui da ragazzo, tutto cuore e agonismo e propensione a sfasciare.

Anni dopo Vittorio avrà parole poche gentili verso Andrea, accusandolo di correre sempre sopra le possibilità della sua macchina; né più né meno quello che aveva sempre fatto lui.

Vittorio Brambilla chiude così, a quarantatré anni, dichiarando polemicamente che in Formula Uno il pilota non conta più; sono parole dettate dall’emozione e da una nostalgia che spesso tradisce anche i più competenti.

Lesmo, Monza, 26 maggio 2001

La storia di Vittorio Brambilla non può che finire nella sua Monza.
Il 26 maggio del 2001, quando ha 63 anni, il cuore generoso di Brambilla si ferma mentre sta tagliando l’erba del prato, a casa sua. Quell’erba su cui era scivolato innumerevoli volte, uscendo di pista con la sua macchina arancione.
Ne era uscito sempre senza un graffio.
Pareva quasi immortale.

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