Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Racconti: La Gang

Racconti: La Gang

La gang si riuniva tutti i giovedì alle dieci al parco.
All’inizio erano in cinque, si erano conosciuti al centro commerciale, per caso, e avevano subito fatto lega.
Si chiamavano con dei soprannomi: Batman era il più acrobatico, Bufalo Bill era famoso per la mira micidiale con la fionda, Eva Kant era la più svelta di mano; poi c’erano Porthos e Tex Willer: il primo era grande e grosso ma non sveltissimo di testa, l’altro era il capo della gang.

Da quando Tex Willer non era più andato non c’era più un capo, anche se Eva Kant – lo sapevano tutti – era la più risoluta del quartetto.

Il quartiere di periferia era messo a ferro e fuoco dalla gang con il repertorio più classico: si avvicinavano agli enormi palazzoni popolari e premevano sui tasti del citofono a mano aperta, poi si allontanavano tra una pioggia di chi è? e di bestemmie e di condomini che si mettevano a litigare tra loro; oppure suonavano a quello del quindicesimo piano dicendo che era la posta e che c’era da firmare. Si mettevano dietro il cartellone dei necrologi, di là dalla strada, e aspettavano che comparisse qualche signora trafelata coi bigodini o un omaccione in canottiera e ciabatte.

Bufalo Bill si faceva valere con la sua fionda: bastava scegliere il colore di uno spicchio della vetrata della chiesa nuova, su in alto in quel mostro di calcestruzzo, e lui la faceva secca al primo colpo. Un pomeriggio aveva mandato in frantumi tutti gli specchietti di una Volvo Polar parcheggiata davanti al Circolo del Dopolavoro, il cui proprietario si era permesso di rispondere male a Eva Kant: saranno stati venti metri buoni.

Se c’era da arrampicarsi per rubare i fichi o i melograni dagli alberi di qualche giardino ci pensava Batman. Lui saliva sul muretto ed Eva Kant riempiva la busta.

I numeri migliori li facevano al supermercato del centro commerciale, quel gigante di cemento sorto anni prima in mezzo al nulla. I quattro si divertivano a mettere oggetti nei carrelli degli altri: erano talmente pieni che non ne se accorgevano fino alla cassa.

A Don Luigi, il parroco anziano e rubizzo, mettevano l’ultima copia di Playboy, a Di Credico, il morigerato dirigente della scuola media, ficcavano tra le derrate romanzetti erotici da quattro soldi. Alla signorina De Lupis, di anni sessantasette, tre confezioni di preservativi ritardanti. Quando arrivavano alla cassa le scene erano ogni volta da antologia.

Un pomeriggio la guardia giurata – un pezzo di marcantonio senegalese – li aveva beccati e Porthos aveva finto di sentirsi male; nella confusione generale Eva Kant si era infilata sotto il vestitino una manata di Chupa Chups.

Una volta al parco se li erano divisi: i quattro non riuscivano a smettere di ridere.
I lecca-lecca, poi, erano buonissimi.

Quel giovedì, però, prima di separarsi c’era un’ultima incombenza: andare a salutare Tex Willer.

I quattro varcarono il cancello del camposanto che stava tramontando il sole; trovarono la lapide di Tex, che non si chiamava così ma a chi importava? Deposero vicino al vaso coi fiori finti un Chupa Chups alla Coca Cola e dissero una preghiera, anche se non ci credeva nessuno.

Era ora di andare: Bufalo Bill e Porthos stavano al Sant’Anna, una vicina casa di riposo, Batman abitava con la figlia che non si era mai sposata. Eva Kant doveva tornare al suo appartamento delle case popolari, il giovedì la badante aveva il giorno libero ma rincasava alle 19 con puntualità militare.

Si diedero appuntamento per la settimana dopo: era stata una giornata bellissima.

(Trovate altri racconti brevi sulla pagina Facebook e qui).

Torna in alto
Facebook