Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Jean Alesi, iniziare bene non basta

Jean Alesi, iniziare bene non basta

Domenica 9 luglio 1989, Le Castellet, autodromo Paul Ricard
Certe storie di fallimenti, di obiettivi mancati per un pelo e di successi azzoppati, nascono sotto i migliori auspici. Quel giorno di luglio si corre la settima gara del Mondiale di Formula Uno e, tra gli appassionati, c’è una certa curiosità perché sulla griglia di partenza ci sono diverse facce nuove; una di queste appartiene a Jean Alesi, venticinquenne francese sui generis.

Sì, perché il bel Jean, dietro quella faccia che lo fa somigliare a Tony Curtis giovane, del francese da luogo comune ha ben poco: allo snobismo e alla grandeur francese, Jean Alesi preferisce un carattere impulsivo e avventato, tanto irascibile quanto pronto all’immediato perdono. Jean è uno di quelli che fa sempre troppo e troppo presto, uno che vorrebbe vincere a ogni curva e non vince mai al traguardo, uno che si infiamma anche al semaforo sotto casa sulla Renault 5 del padre.

Alesi è il contrario di un giocatore di scacchi, che fa la sua mossa ma già sta pensando a quella che farà per ultima: Alesi non pensa proprio, quando stringe un volante tra le mani, o meglio, pensa solo a pestare sull’acceleratore nel modo più pesante che gli riesce.

Alesi, del resto, in Francia ci è solo nato: i genitori sono tutti e due siciliani. Il padre è un carrozziere di Alcamo, la madre è nata a Riesi.
Eppure, quel giorno d’estate del 1989, Jean Alesi è un giovane vincente, che ancora ignora che il la storia gli regalerà tante gioie, ma anche una nomea di perdente pari a quella dei maestri del settore, da Amon a Jean Behra.
Ha vinto il Campionato di Formula 3, il giovane Jean, e in quello stesso 1989 trionferà in quello di Formula 3000; Ken Tyrrell, il vecchio boscaiolo con la fama di grande scopritore di talenti, gli ha già messo gli occhi addosso e, quando il titolare Alboreto è messo fuori causa da assurde beghe con gli sponsor, lo mette nell’abitacolo della Tyrrell e lo manda in pista.

I fasti degli anni Settanta sono passati da un pezzo, e la Tyrrell è ormai una squadra di seconda schiera; Palmer e Alboreto sono costretti dalla scarsa potenza del motore, un vecchio Cosworth, a remare quasi sempre nella seconda metà del gruppo, salvo prendersi qualche soddisfazione alla fine, soprattutto in virtù dei guai altrui.

In prova Alesi bada solo ad apprendere; Palmer, il compagno di squadra famoso più per la sua qualifica di dentista che per le prestazioni, con un guizzo mette la Tyrrell in nona posizione.

Alesi, prudente, è sedicesimo. In gara, però, piano piano prende confidenza con l’auto e con la pista, iniziando a risalire posizioni. Dopo diciotto giri prende e supera Palmer, dopo quarantaquattro è addirittura secondo: erano anni che non si vedeva una Tyrrell così avanti e un debutto di tale spessore.
Alla fine Jean è quarto: correrà altre sette gare e andrà ancora a punti, finendo nono in campionato.

Il 1990 comincia ancora meglio.
Alesi è confermato con lo status di caposquadra e, alla prima gara, a Phoenix, parte quarto.
Incredibilmente prende la testa della corsa e dà vita a un duello con Ayrton Senna per cui gli addetti ai lavori lo paragonano a Gilles Villeneuve. Pur con una monoposto vecchia e poco potente, Jean tiene testa a Senna da campione e, quando fatalmente cede, non si disunisce e alla fine è secondo.

A Montecarlo, uno dei circuiti più difficili e temuti, si ripete, arrivando dietro a Senna, talmente vicino che se la gara fosse durata altri due o tre giri avrebbe potuto tentare il colpaccio.

A quel punto gli occhi di tutto il mondo da corsa sono puntati su quel ragazzo di origine siciliana, i cui occhi azzurri paiono puntare diritti alla vetta della Formula Uno.
E qui cominciano i disastri. Jean è impulsivo e sanguigno, gli ci vorrebbe forse un manager avveduto a consigliarlo, ma così non è.

Lo cerca la Williams e lui firma subito: potrebbe essere la sua fortuna.
Quando però è la Ferrari a proporgli un contratto, Alesi vede rosso, in tutti i sensi, e inizia a manifestare il suo lato peggiore: fa il diavolo a quattro per rompere il contratto e alla fine ci riesce. La Ferrari deve pagare una penale senza precedenti e Jean si fa nemico per la pelle Frank Williams, che ripiega su un usato sicuro, Nigel Mansell.

Va detto che all’epoca l’impuntarsi di Alesi non era solo uno sterile capriccio, la Ferrari era effettivamente la squadra più competitiva assieme alla Mclaren.

I fatti, tuttavia, gli daranno torto.
Alesi giunge nel 1991 alla Ferrari, subito adottato dai tifosi italiani come il nuovo Gilles Villeneuve, paragone montato ad arte da una certa stampa che – dopo averlo osannato come magnifico perdente per anni – non si farà problemi a trascinarlo nella polvere all’arrivo di Schumacher.
C’è un problema, però.

Come accade spesso nella storia della Ferrari, a una monoposto vincente, segue un progetto totalmente sbagliato. La nuova monoposto non va, e si vede subito.
Il confronto con Prost è all’inizio pesante, poi, tra la demotivazione del campione e la crescita di Jean, le cose vanno meglio.
La Williams intanto – ironia della sorte – diventa la monoposto da battere, e lo sarà fino al 1997. Se Jean non avesse rotto il contratto, forse ora ne parleremmo come di un campione plurititolato. O forse no, perché il 1991 è l’anno in cui la sua proverbiale malasorte si inizia a manifestare.

Ogni volta che le cose sembrano mettersi bene, la Ferrari si rompe, come in Belgio, la prima vittoria sfumata di una lunga serie, da fare invidia a Chris Amon.

A Spa Alesi è primo in virtù – proprio lui così focoso – di una tattica riuscita: solo quattordici giri lo separano dalla prima vittoria, ma qualcosa si rompe.
L’anno finisce con Alesi solo settimo e Prost che litiga e si prende l’anno sabbatico.
Nel 1992 Alesi è caposquadra, ma la monoposto è una delle peggiori della storia di Maranello. Jean non si arrende e diventa l’idolo dei tifosi; il ragazzo tutto cuore che si inventa prodigiose rimonte sotto la pioggia – terzo in Spagna – e butta al vento tutto con un testacoda quando pare essere la sua giornata, come in Belgio.

Alesi è l’archetipo dell’eroe romantico, votato alla sconfitta dopo aver dato tutto; piange e si dispera ogni volta e ogni volta si rialza pieno di entusiasmo.
Gli anni alla Ferrari sono in crescendo, ma simili. Con Berger, cavallo di ritorno a Maranello, stringe una splendida amicizia e fuori dalle piste ne combinano di tutti i colori, come quando distruggono la Y10 di Jean Todt, capottandosi all’ingresso del circuito di Fiorano.

Il canovaccio però è sempre quello: ogni volta che Alesi potrebbe vincere, qualcosa va storto. Nel 1994 la monoposto ha un motore talmente potente che sui circuiti veloci è la più forte; in Germania rompe al primo giro e vince Berger. In Belgio dopo due giri e a Monza, dopo la pole e il dominio iniziale si rompe il cambio.

La storia di Alesi, però, ha anche il suo momento di gloria, a Montreal il giorno in cui compie trentuno anni, l’11 giugno. Quel giorno la dea bendata si volta dall’altra parte e Jean vince, nel modo in cui tante volte aveva perso, grazie ai guai di Schumacher.

Tutti pensano che sia il momento di svolta: Jean lo sfortunato, il maledetto, si è finalmente sbloccato.
Macché.

Da allora perde una serie di altre gare per colpi di sfortuna che hanno del prodigioso; in Belgio rompe la sospensione mentre è primo; a Monza domina di nuovo ma si rompe un cuscinetto – un pezzo da poche lire – a otto giri dalla fine. Al Nurburgring è primo per tutta la gara, poi Schumacher lo supera all’ultimo giro; in Giappone rimonta sotto la pioggia, la sua specialità, come un forsennato, ma rompe ancora.

Non solo, a fine anno la Ferrari lo butta fuori per fare spazio a Schumacher, con cui si scambia il posto in Benetton. I tifosi, quelli per cui Jean ha sempre gettato il proverbiale cuore oltre l’ostacolo, lo dimenticano presto a favore del nuovo idolo teutonico.

Gli anni alla Benetton saranno i migliori, come risultati, ma sempre privi di vittorie.
Ha ancora le sue belle sfortune, Jean, perdendo gare già vinte per disavventure surreali a Montecarlo, a Monza per due volte, prima che anche Briatore – deus ex machina in Benetton, con cui non è mai andato d’accordo – lo scarichi.

Sa allora Jean conosce le retrovie che aveva evitato anche a inizio carriera; corre con la Sauber, con la Prost e con la Jordan. Sono anni di grandi delusioni ma anche di fiammate del vecchio cuore generoso: i tifosi lo riadottano e lui, come sempre, perdona tutti. Al punto che sembrano riaprirsi per lui le porte in Ferrari, a fare da scudiero al nuovo Messia Schumacher; è solo l’ultima illusione di una carriera votata all’impresa, al guizzo eroico, allo slancio romantico e all’inevitabile fallimento.

Jean Alesi rimane un mistero dibattuto ancora oggi. Con le scelte giuste sarebbe stato un dominatore o la sfortuna l’avrebbe seguito anche se avesse intrapreso altre vie, come nella canzone Samarcanda di Roberto Vecchioni?

La risposta non la sa nemmeno lui, probabilmente, ma Alesi è oggi un uomo sereno e felice. La vita lo ha reso più vincente di tanti che in pista lo hanno superato mentre lui – piangendo – si ritirava per la rottura di qualche pezzo da cinquemila lire.

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