Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Willy Mairesse, l’ossessione per la velocità

Willy Mairesse, l’ossessione per la velocità

Per alcune storie viene in mente di dire che sarebbero degne di essere raccontate in un film. Poi ci si rende conto che forse sono troppo tristi; questa è la storia di Willy Mairesse.

Willy Mairesse nasce a Momignies, in Belgio, il 1° ottobre del 1928.
La sua nazione ha già avuto qualche buon pilota, alcuni quasi coevi; alcuni sono gentleman driver di ottimo livello, come Olivier Gendebien, famoso per le sue Ferrari gialle. Paul Frère, celebre pilota giornalista. C’è anche Lucien Bianchi, fortissimo italo-belga, unito da un destino tragico con Jules Bianchi, suo nipote, ultimo pilota a scomparire in seguito a un incidente di Formula 1.

L’amore per le corse sboccia tardi per Willy, a venticinque anni.
A quell’età, il giovane Mairesse – che è rampollo di una famiglia benestante – viene invitato da un amico a partecipare a una gara endurance. La competizione, una vera maratona, si svolge tra Liegi e Roma, andata e ritorno. Willy si ritira per un guasto, ma l’ossessione per la velocità è nata. E – come tutte le ossessioni – è totalizzante.

Willy, poi, possiede uno di quei caratteri portati per l’abnegazione più totale. Vive le corse con un’intensità persino eccessiva e con un senso del dovere che – a voler vedere – non potrà che portare al disastro.

La migliore descrizione dell’approccio alle corse di Mairesse la dà Peter Revson, pilota americano a sua volta protagonista di un destino tragico.

“La sua concentrazione era immensa, il suo viso era corrugato e rosso, con le sopracciglia unite; i suoi occhi quasi uscivano dalle orbite e cambiavano colore. Sembrava il diavolo in persona”.

Peter Revson

Willy ha cominciato tardi, ma possiede in quantità le doti che all’epoca fanno la differenza tra un pilota normale e un fuoriclasse. Mairesse, infatti, ha velocità naturale, tecnica e un coraggio cieco, al limite dell’incoscienza. Willy affronta il rischio con totale noncuranza, quasi che per lui sia l’unico modo per affrontare la vita e i demoni che gli si agitano dentro.

Subito lo notano in tanti, e la ENB (Ecurie Nationale Belge) gli mette gli occhi addosso. Jacques Swaters, direttore della scuderia ma anche importatore in Belgio della Ferrari, decide che Willy merita di entrare nel giro grosso. In breve Mairesse riesce a mettere le mani su un volante Ferrari, all’inizio con le Sport, poi in Formula 1.

Willy, che in molti chiamano Wild Willy, inizia a macinare vittorie; più i tracciati sono pericolosi, più lui va forte. Vince il Tour de France, va fortissimo al Nurburgring e alla Targa Florio. Se c’è da tenere giù il piede quando la testa direbbe di fare il contrario, Willy non si fa pregare.

Alla fine, arriva anche il debutto nella massima categoria, proprio nella gara di casa del 1960, a Spa.

La Ferrari si trova in quell’anno in grande difficoltà. La rivoluzione del motore posteriore ha colto impreparata la casa di Maranello, non tanto per motivi tecnici, quanto perché Enzo Ferrari si rifiuta di ammettere che ha torto nel proseguire a mettere i buoi davanti al carro. Spa è un circuito particolare, molto diverso da quello attuale e pericolosissimo. La potenza, punto di forza della Ferrari, è molto importante, ma sui curvoni infiniti della pista belga, il telaio ha altrettanta rilevanza. Nelle qualifiche Mairesse è solo tredicesimo, ma rimane molto vicino nei tempi a Von Trips, pilota ufficiale Ferrari.

In gara Willy ci mette un po’ a prendere le misure, poi si scatena e rimonta fino al sesto posto. La rottura della trasmissione lo priva di un risultato di prestigio già al debutto; i ritiri saranno la costante della sua carriera in Formula 1, ben dieci in dodici gare.

L’impressione però è buona, e la Ferrari lo schiera ancora alla gara successiva in Francia. Willy in prova va fortissimo: è quinto. In gara è ancora la trasmissione a tradirlo. L’ultima gara dell’anno, per la Formula 1, la corre a Monza. Dopo quattro anni si torna a correre sulla versione allungata, quella che comprende anche l’anello di alta velocità.

La scelta origina da due motivi; il primo è quello di ridare lustro alla struttura e ottenere una media da record. L’altro, più prosaico, è di favorire le Ferrari, a loro agio più sui lunghi rettilinei che in curva. Il risultato è che le squadre inglesi boicottano la gara, ritenendo le scelte troppo partigiane e la pista troppo pericolosa.

Corrono praticamente solo le Ferrari e qualche squadra privata. Le vetture sono talmente poche che si decide di far correre anche la Formula 2, per rimpinguare la scarna griglia di partenza. Le tre Ferrari Dino 246 vanno a Phil Hill, Richie Ginther e a Willy Mairesse. La corsa non ha storia e Willy viene sacrificato per tirare la scia a Von Trips, che corre con la Formula 2 e che così si impone nella categoria cadetta.

Anche così Mairesse è terzo e va sul podio: sarà l’unica soddisfazione in Formula 1.

L’anno successivo il belga non può approfittare del ritorno ai vertici della Ferrari, con la 156 a motore posteriore. Willy corre due gare con una gialla Lotus privata, senza risultati, mentre viene schierato dalla Ferrari – di cui è anche collaudatore – solo al Nurburgring. In Germania Willy ha uno dei suoi infiniti incidenti mentre è sesto.

Per il 1962 la situazione pare più promettente. Tra aprile e maggio Mairesse vince due gare di Formula 1 sulla Ferrari, a Bruxelles e a Napoli. Sono competizioni non valide per il Mondiale, ma comunque di grande prestigio, che precedono la prima gara a Montecarlo. Nel Principato Mairesse è velocissimo, ma è costretto al ritiro.

Si arriva così a Spa, sulla pista di casa del belga.
Mairesse è di gran lunga il più veloce tra i ferraristi e si porta subito al comando, duellando ferocemente con la Lotus di Trevor Taylor. Dopo qualche giro, i due – impegnati a scambiarsi di continuo la posizione – vengono superati da Jim Clark, che quel giorno coglie la prima vittoria.

Per venticinque giri Willy e Trevor danno spettacolo, tra il tifo indiavolato degli spettatori; i due si sorpassano, si toccano più volte e affrontano i curvoni di Spa affiancati. Una volta di troppo: a Blanchimont le due vetture si toccano ed è il disastro. La Ferrari di Mairesse vola fuori pista, si incendia, ma Willy ne esce miracolosamente quasi illeso.

Willy tornerà in pista solo a Monza, mesi dopo, arrivando quarto, battuto in volata da Bruce Mclaren.

All’inizio del 1963 i piloti Ferrari sono Mairesse, John Surtees e Lorenzo Bandini. Phil Hill, Campione de Mondo due anni prima e ormai fuori dalla squadra, prevede un futuro ben poco roseo.

“Gareggeranno così duramente l’uno contro l’altro che commetteranno errori potenzialmente fatali.”

Phil Hill

All’inizio le cose vanno bene; Willy vince a Sebring, poi con Surtees la 1000 Km del Nurburgring. A Le Mans i due sono al comando per 15 ore, poi – per un problema al rifornimento – la Ferrari di Mairesse prende fuoco. Il belga ne esce con le sue gambe, gravemente ustionato. E qui avviene un fatto simbolico dell’atteggiamento di Willy.

Pur terribilmente bruciato, vuole prima tornare ai box per raccontare a Forghieri la natura del problema, poi si fa ricoverare.

In Formula 1 le cose non vanno bene; a Spa Mairesse è velocissimo ma non porta a casa nulla. Al Nurburgring Willy è sotto pressione, deve ottenere a tutti i costi un buon risultato, con Surtees sempre più lanciato.

La profezia di Phil Hill prende allora forma.
Nell’ansia di non farsi distaccare da Big John, Maestro del Ring, Mairesse osa troppo e perde il controllo della Ferrari mentre vola su uno dei dossi della pista. Forse un colpo di vento, forse la velocità eccessiva, fatto sta che al secondo giro Mairesse vola letteralmente fuori pista e le ruote della vettura uccidono un autista dell’ambulanza,  Gunther Schneider, di 19 anni.

Mairesse è gravemente ferito e da allora la sua carriera in Formula 1 sarà finita, al netto di un tentativo velleitario qualche anno dopo a Spa.

Wild Willy tuttavia rimane fermo giusto il tempo del ricovero e già scalpita per tornare al volante. Correre è la sua missione, l’unica cosa che sa fare e la sua vera e propria ossessione. Torna con le Sport e negli anni successivi vince ancora molto.

Nell’ambiente tutti gli vogliono bene, per la sua generosità e onestà, per la sua abnegazione e per le sue grandi qualità di collaudatore. Molti, però, pensano che la sua foga, quel vero e proprio demone che lo spinge a pestare sull’acceleratore, lo condurranno a una fine tragica.

Nel 1968, mentre spinge al massimo una Ford GT40 durante il primo giro di Le Mans, l’ennesimo scherzo del destino. La procedura di partenza è ancora quella tradizionale, coi piloti che salgono di corsa, mettono in moto e partono. Peccato che molti lo facciano senza allacciare le cinture di sicurezza, cercando di guadagnare qualche secondo.

Willy – ovviamente fa così – e oltre a non stringere le cinture chiude lo sportello male, in tutta fretta. In piena velocità si apre; a oltre trecento all’ora basta poco perché si perda il controllo, specie con le vetture dell’epoca; la Ford sbanda, si gira e vola contro il muro di una casa.

Mairesse questa volta si fa male sul serio.
Il belga rimane in coma per due settimane e deve affrontare una riabilitazione lunga mesi. Willy ha quarant’anni, recupera ma non abbastanza da tornare quello di prima. I medici sono chiari: non potrà più correre.

Passa qualche mese e il 2 settembre del 1969, mentre in Formula 1 Jackie Stewart – uno che quando lui affrontava i curvoni di Spa non aveva ancora debuttato  – sta per vincere il suo primo Mondiale, Willy si reca a Ostenda. Prenota una stanza di un hotel, si imbottisce di pillole e la fa finita.

Willy Mairesse ha vissuto per quindici anni con l’unica ossessione delle corse, ora che non può più darle corpo i suoi demoni prendono il sopravvento. Per alcuni è l’ultimo gesto frutto del suo coraggio, per altri il segno evidente di uno squilibrio che trovava sfogo nella velocità. Certo Willy era sprofondato nella depressione, e forse il suo gesto è scioccante ma non altrettanto sorprendente.

Di lui rimane la maestria nel pennellare i curvoni di Spa e quell’immagine evocata da Revson, di quando al volante il mite e generoso Wild Willy si trasformava in vero e proprio diavolo.

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