Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Lo Straniero di Camus, un capolavoro del Novecento

Lo Straniero di Camus, un capolavoro del Novecento

Nel dicembre del 1978 esce il primo singolo del gruppo post-punk The Cure e si intitola Killing An Arab. Il pezzo negli ha attirato accuse di ogni genere sulla band di Robert Smith; pochi sanno che la canzone è ispirata a Lo Straniero di Albert Camus.

Lo Straniero è il primo romanzo di Albert Camus, scrittore, filosofo, giornalista e molto altro, francese nato in Algeria. Il romanzo, pubblicato nel 1942 quando Camus ha 29 anni, fa subito discutere e regala immediata fama all’autore. Si tratta di un romanzo breve che, a seconda delle edizioni, supera di poco le cento pagine.

La trama è lineare e senza colpi di scena, lo stile semplice tanto da sembrare quasi elementare. E allora cos’è che da ottant’anni non smette di affascinare in questa oscura opera? Lo Straniero, intanto, è uno di quei libri che pone infinite domande, senza tuttavia dare risposte semplici o – peggio ancora – consolatorie.

La storia è quella di un impiegato di Algeri, tale Meursault, che vive la sua vita con apatia e indifferenza assolute. Meursault sembra essere spettatore della sua stessa vita, totalmente estraneo a quanto succede agli altri e a se stesso.

L’incipit è fulminante e, come ogni buon inizio, chiarisce già la psicologia del personaggio:

Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall’ospizio: “Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti.” Questo non dice nulla: è stato forse ieri.

L’ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l’autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l’aria contenta. Gli ho persino detto: “Non è colpa mia.” Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo.

Meursault viene avvisato della morte della madre e reagisce alla notizia senza nessuno slancio vitale; la cosa non gli fa piacere, ma nemmeno lo rattrista, tanto che si consola pensando che si tratti di un evento naturale e che lui e la mamma non avessero più nulla da dirsi.

Non solo, la conversazione col suo datore di lavoro rivela la totale assenza di empatia del protagonista. Capita più volte, nel corso del romanzo, che Meursault dica qualcosa e si penta subito di fronte alla reazione – a alla mancanza di essa – dell’interlocutore. L’uomo è del tutto incapace di prevedere e valutare le emozioni, sue e degli altri. E allora è come se andasse per tentativi, quasi che la vita fosse per lui un oscuro esperimento senza capo né coda.

Il suo comportamento apatico prosegue nello svolgimento del funerale. Durante la cerimonia l’unico pensiero che lo domina è quello della stanchezza, causata dal sole cocente.
Il sole, e con esso un caldo che fiacca l’animo e rende difficile ragionare, tornerà spesso tra le pagine de Lo Straniero, tanto da segnare anche l’evento decisivo della vita di Meursault.

Pur non avendo amici e veri rapporti umani, altri personaggi emergono ne Lo Straniero. Maria, giovane donna con cui il protagonista intreccia una relazione all’indomani della morte della madre. Raimondo, vicino di casa che esercita l’attività di lenone e picchia volentieri le donne; Salamano, un altro vicino, un anziano male in arnese che trova la sua gioia nel picchiare il suo cane, vecchio e malato.

La relazione con Maria è simbolica dei rapporti umani di Meursault; l’uomo si limita a desiderarla fisicamente, anche qui in modo blando e discontinuo, ma sarebbe disposto a sposarla solo per assecondarla ed evitare discussioni impegnative.

Emergono anche qui alcuni tratti del protagonista. La noia di fronte a qualsiasi argomento complesso e alle speculazioni, un sentimento che gli rende impossibile impegnarsi in qualsiasi attività. Viene da chiedersi quale sia il disturbo di cui soffre l’uomo. Le sue reazioni sono tipiche del sociopatico, ma Meursault all’inizio non pare pericoloso per sé o per gli altri.

Forse l’uomo è affetto da qualche disturbo dello spettro autistico, ma è inutile speculare troppo su una figura letteraria.

Sarà comunque l’amico Raimondo a imprimere la svolta decisiva alla vita del protagonista. L’amico lo coinvolge in una sordida vicenda per cui – senza apparente motivo, come per tutte le sue azioni – Lo Straniero si ritrova a uccidere un arabo su una spiaggia. Ancora una volta Meursault sembra agire per un impulso esterno a se stesso, vinto dal caldo e dal desiderio di pace e comunione con la natura.

Il seguito della vicenda vede il processo e infine la condanna a morte; non si tratta di anticipazioni, in quanto la trama del libro è del tutto lineare e prevedibile, atta solo a portare avanti le riflessioni filosofiche di Camus. Durante tutta la vicenda giudiziaria, Meursault continua a tenere il proprio atteggiamento distaccato e apatico, di nuovo come se il processo non lo riguardasse; lo considera anzi un’esperienza inedita e interessante, almeno fino a quando non si annoia.

Con un atteggiamento a metà tra l’apatia più estrema e l’onestà intellettuale, il protagonista nota come non si possa non essere d’accordo con le conclusione dell’accusa. Quella stessa accusa che chiede per il suo crimine – da cui lui si guarda bene dal difendersi – la pena capitale.

L’unico anelito di vita, la sola reazione umana, arriva alla fine di fronte all’ipocrisia del prete. Il religioso pare più preoccupato di preservare il proprio sistema di pensiero – messo a dura prova dalla sincerità di Meursault – che non di prestare conforto al condannato. Finalmente Lo Straniero sbotta e in un flusso di coscienza esplode con violenza non solo contro il prete. Il suo bersaglio è l’ipocrisia di una società che, più che per il delitto, lo condanna per l’atteggiamento al funerale della madre, e infine l’insensatezza della vita.

Solo nell’indifferenza della natura, nella sua perfetta immutabilità, e nell’inutilità di ogni vita umana, Meursault pare trovare una sua assurda serenità.

Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d’odio.

Lo Straniero è insomma un capolavoro imprescindibile della letteratura di ogni tempo, affine a quell’esistenzialismo da cui Camus si chiamerà sempre fuori.
Meursault è un’icona immortale della finzione letteraria; impossibile non notare le sue affinità col Bartleby di Melville o col protagonista de Il Processo di Kafka. Le riflessioni sulla pena di morte – modernissime – ricalcano quelle di Dostoevskij ne L’Idiota.

Un’opera che ha ispirato film – quello di Visconti con Mastroianni – e canzoni come quella dei The Cure.
E che, a ottant’anni dall’uscita, non smette di inquietare i lettori.

https://www.youtube.com/watch?v=IiWw7AxrFU4
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