Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Racconti: L’uomo che si era perduto dentro L’Ikea

Racconti: L’uomo che si era perduto dentro L’Ikea

Alessandro in città non c’era mai stato, all’Ikea figuriamoci.
Cartignano sul Pizio, il paese dov’era nato, vissuto e invecchiato, aveva sì e no duecento abitanti. Il lavoro in campagna, una moglie da comandare a bacchetta, gli amici al bar e le maldicenze del borgo, questa era stata la sua vita.

Quando i nipoti l’avevano portato all’Ikea gli era parsa una festa come la fiera del bestiame, piena di luci, allegria e confusione. L’aveva odiata da subito.
Alessandro era rimasto ormai solo, il vecchio mobilio a lui pareva solido, ma ogni giorno qualcosa si rompeva; i nipoti avevano insistito tanto, ma inutilmente. Alla fine, l’avevano caricato sulla macchina e ce l’avevano portato a viva forza: “Vedrai nonno, che bei mobili!”

E lui si era perso.
Aveva preso a girovagare nella folla della domenica pomeriggio e i nipoti li aveva perduti di vista. Aveva provato a seguire le frecce, ma ogni volta c’era qualche diavoleria che lo distraeva. Una volta era una ragazza in minigonna – “C’ s’iccis ‘ste svergognate! – un’altra i pupazzi di peluche, altre ancora quelle cucine tutte belle nuove nuove: che spreco, quando in campagna si cucinava ancora sul camino!

Poi si era fatta sera, le luci si erano spente e nessuno si era accorto che Alessandro era rimasto dentro l’Ikea. Di chiedere a qualcuno no, il cuore gli diceva no: “Se lo sanno al paese che mi so’ perso, sai le risate? E poi un uomo non si ferma mai a chiedere!”

Passarono i giorni e Alessandro girava senza posa.
Di giorno il turbinio della folla lo confondeva, la notte trovava qualcosa da mangiare lasciato qua e là dai visitatori, dormiva in quelle camerette così linde e pinte.

Una notte, Alessandro scorse una luce: una figura, illuminandosi il cammino con dei cerini, avanzava nel buio. Era come lui, un anziano pallido per la mancanza di luce, ma pareva più deciso. Quando lo vide, senza parole gli fece cenno di seguirlo.
Attraversata una porta dipinta di verde, si trovarono dentro l’enorme magazzino, dove decine di persone camminavano nella fioca luce dei neon che rimanevano sempre accesi.

Erano persone come lui, solo talmente assuefatte a quella vita notturna che parevano quasi vampiri. Tutti venivano da paesini limitrofi, ma c’erano anche uomini e donne più giovani. “Chi l’ha visto” parlava di loro per qualche puntata, poi i parenti si rassegnavano.

Loro si erano adattati alla vita dentro l’Ikea: di giorno se ne stavano rintanati, di notte avevano trovato il modo di accedere a qualche polpetta svedese da scongelare. Qualcuno, nelle ore diurne, cercava ancora l’uscita, i primi tempi; poi si rassegnava a quella vita in un certo senso protetta, più sicura del mondo di fuori.

Alessandro si abituò in fretta: era sempre stato un cattolico fervente e superficiale al tempo stesso, ed era abituato ad accettare le punizioni che una severa Provvidenza gli dispensava.
Ogni tanto guardava fuori dai finestroni, sfidando quella luce che quasi l’accecava e l’insensato viavai dei clienti: la vita fuori pareva continuare. Le colline, lontane, gli ricordavano il paese e le partite a bocce con gli altri anziani.
Nel giro di qualche settimana smise di guardare fuori, i suoi pensieri ormai andavano solo alle polpette e ai letti in esposizione, che erano molto più comodi del suo a Cartignano.

Un pomeriggio, non si sa come, girovagando si trovò all’improvviso fuori, nella luce radente del tramonto, in bilico tra la porta antivento e le perfette geometrie del parcheggio. Una signora molto gentile gli si avvicinò, scorgendo le sue difficoltà: “Ha bisogno di qualcosa?” gli chiese.

Alessandro rispose come con un ringhio, un sibilo ferino che nulla aveva d’umano, poi rientrò nell’Ikea quasi correndo, per quel che gli riuscì.

Di lì a un paio d’ore avrebbero spento le luci, finalmente, e lui e gli altri sarebbero potuti uscire dalle tane. Era l’ora della caccia alle polpette svedesi.

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