Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Derek Daly, l’irlandese volante

Derek Daly, l’irlandese volante

Silverstone, 19 marzo 1978

A Silverstone, fin dal 1949, in primavera si corre una gara che assegna il BRDC International Trophy. In quel 1978, la competizione si svolge per l’ultima volta ma passa alla storia per una serie di prime volte: la prima vittoria di Keke Rosberg, la prima gara e vittoria – anche l’unica – della Theodore. Ma quel giorno, a Silverstone, debutta anche Derek Daly.

Fin dalla notte precedente sul circuito si abbatte un violento fortunale; il cielo è nero, l’erba delle vie di fuga si trasforma in una spessa poltiglia di fango e le monoposto sembrano quasi motoscafi alla deriva. Non basta, l’asfalto è stato appena posato e si trasforma in una trappola luccicante, scivolosa come una saponetta.

Subito è chiaro a tutti che in quell’acquitrino è impossibile corre, ma siamo nel 1978: si corre.
Nel warm up Peterson – che ha staccato manco a dirlo la pole – distrugge la sua Lotus tra le reti; nel giro di allineamento Lauda esce di strada e brucia la frizione nel tentativo di ripartire. Secondo qualche maligno lo ha fatto apposta per non correre in quelle condizioni.

Al via è il caos: tutti anticipano lo start e Hunt va in testa, ma il più bravo è Derek Daly.
L’irlandese tutto lentiggini e capelli rossi come da luogo comune, pilota una vecchia Hesketh blu, buona manco per il museo. Dal nono posto, col suo casco nero con una freccia gialla, Derek alla prima curva è già secondo. Alla Becketts passa Hunt all’esterno come se per lui non piovesse.

Alla terza curva del suo primo Gran Premio – anche se non valido per il mondiale – Daly è primo! Altre tre curve e – abbordando Abbey – Derek se ne va roteando per prati. Lì l’asfalto è particolarmente scivoloso e Hunt e Regazzoni gli vanno dietro piroettando: solo Derek riesce a ripartire. Ora Andretti e primo, ma dura un paio di giri e anche lui esce ad Abbey, schiantandosi contro la Shadow di Regazzoni.

Stuck, che è un mago della pioggia, con l’altra Shadow si prende il primo posto guidando costantemente di traverso. Alle sue spalle, incredibilmente, c’è di nuovo il fulvo Daly, che ha ripreso a girare come se fosse impermeabile alla pioggia. Qualche giro ed è di nuovo primo; qualche altro ed è di nuovo fuori, nelle reti. Alla fine vince Rosberg, finlandese abituato più alla neve che all’acqua.

La prima gara di Derek Daly riassume tutta la sua carriera: una partenza a razzo, grandi aspettative e un finale così così.

Il rosso irlandese ha iniziato a correre giovanissimo, assieme all’amico David Kennedy. I soldi, però, finiscono subito e i due se ne vanno a cercare fortuna in Australia. Quando Derek torna è maturo e velocissimo: corre in Formula 3 e vince il campionato. L’anno dopo tenta il doppio impegno in Formula 2 e nella serie regina. In Formula 2 fa subito faville: vince due gare ed è terzo in classifica.

Quando il mondiale di Formula Uno riparte da Long Beach due settimane dopo, Derek si presenta tutto baldanzoso per l’esordio ufficiale. La Hesketh è talmente lenta che l’irlandese non riuscirà mai a qualificarsi, fino a quando non passerà alla Ensign. Con la nuova squadra la musica cambia e Daly è subito a metà schieramento. Corre bene alcune gare e sotto la pioggia, in Austria, è quarto fino agli ultimi giri, prima di essere costretto alla resa. Derek si fa subito un nome come mago della pioggia. All’ultima gara, in Canada, segna anche il primo punto, arrivando sesto.

Per il 1979 la Ensign lo conferma, ma che le cose non andranno per il verso giusto lo si intuisce subito.

La monoposto rossa è tra le più brutte mai viste, con tre bizzarri radiatori montati uno sull’altro sul frontale. E se per Enzo Ferrari la macchina più bella è quella che vince, la Ensign è brutta due volte: è talmente scarsa che Daly naviga sempre in fondo al gruppo.

La bizzarra Ensign del 1979

L’irlandese abbandona l’avventura e si concentra sulla Formula 2; alla fine dell’anno sarà ancora terzo, con una vittoria. Nel frattempo gli ha messo gli occhi addosso Ken Tyrrell, patron di una squadra un po’ decaduta, ma talent scout infallibile. Quando Jarier si ammala, fa correre Daly in Austria; Derek rimane a ruota del compagno Pironi – che molti ritengono un fenomeno – per tutto il week end. Tyrrell allora gli fa disputare le ultime due gare, schierando una terza vettura, e a Watkins Glen Daly è quarto fino a pochi giri dalla fine, poi esce di strada. Oltre alla fama di pilota da bagnato, Daly si sta facendo anche quella di scassamacchine.

E deve ancora arrivare il 1980.

Tyrrell lo conferma accanto a Jarier e Daly non sfigura; con una macchina che va a corrente alternata, si piazza due volte quarto e chiude dodicesimo. Derek, però, si mette in luce soprattutto per gli spettacolari incidenti.

A Montecarlo i suoi genitori sono in tribuna e Daly vuole conquistare il centro della scena; purtroppo ci riuscirà subito, ma non nel modo previsto. A Saint Devote, la prima curva, arriva lunghissimo e centra l’Alfa di Giacomelli, iniziando a galleggiare sulle altre monoposto come una rockstar che si getta sul pubblico. Fa fuori l’italiano, la McLaren di Prost e soprattutto l’altra Tyrrell di Jarier.

A Zandvoort è buon ottavo quando una sospensione ha la bella trovata di rompersi alla fine del rettilineo, a 300 all’ora. Daly può solo attaccarsi ai freni, ma l’impatto con le barriere è talmente violento che la Tyrrell si impenna e vola in aria. Ancora una volta Derek è illeso, pare indistruttibile.

Ken Tyrrell non lo conferma e gli anni successivi sono un calvario; Daly guida per la March, una monoposto che sfigurerebbe pure in Formula 2. Tra mancate qualifiche e prestazioni opache, Derek può vedere le prime posizioni solo col binocolo. Alla Williams, però, fedele alla sua indole di eterno indeciso, Carlos Reutemann prima decide di correre, poi ci ripensa e lascia la squadra senza pilota con tutti i migliori già accasati.

Dal Gran Premio del Belgio, Derek Daly si ritrova da pilota fallito a seconda guida in una delle squadre più forti; suo compagno è Rosberg, lo stesso che si tenne dietro al debutto, che addirittura vincerà il mondiale. Frank Williams è chiaro: Derek è il secondo pilota e in squadra puntano tutto su Rosberg.

A fine campionato Daly va a punti cinque volte ed è tredicesimo, anche se – di fatto – ha corso poco più che mezza stagione.

Non sfigura vicino a Rosberg e in alcune occasioni è sfortunato. A Montecarlo rimane senza alettone posteriore per buona parte della gara, ma continua; quando inizia a piovere, a quattro giri dalla fine, vanno tutti in tilt: Prost sbatte, Patrese si gira, Pironi rompe e De Cesaris finisce la benzina. Daly potrebbe arrivare secondo, ma sbatte pure lui. A Brands Hatch pare il giorno buono: è terzo ma si deve fermare ai box. Rimonta come una furia, girando più veloce di tutti e alla fine è quinto.

Williams però non lo conferma, preferendogli Laffite, e Derek dice basta.
A quel punto emigra negli Stati Uniti, a cercare gloria nella Formula Cart; ne troverà poca – giusto un podio in sei anni – ma troverà un miracolo, uscendo vivo da un terribile incidente al Michigan Speedway. Sono più le ossa che si rompe di quelle che rimangono sane, ma Derek appena guarito riprende a correre.

L’incidente in Cart da cui si salva miracolosamente

Alla fine i migliori risultati li coglierà con le ruote coperte: primo alla 12 Ore di Sebring e quarto a Le Mans.

Daly si innamora degli States e realizza la sua versione del sogno americano. Non nelle corse, ma diventando un celebre commentatore televisivo, uno scrittore e conferenziere e seguendo la carriera del figlio Conor. Oggi Daly è ancora attivissimo.

La sua carriera non è andata come tanti pronosticavano, eppure Derek Daly ha saputo cavalcare l’onda così come veniva, da buon irlandese volante.

Il celebre botto di Zandvoort

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