Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Cristoforo Gorno e le “Cronache dall’antichità”

Cristoforo Gorno e le “Cronache dall’antichità”

Spesso, quando lavoro, ascolto in sottofondo i programmi di Rai Storia.
Concentrato su quello che scrivo, mi estranio completamente da quel rumore di fondo; solo ogni tanto qualcosa emerge, qualcosa attira la mia attenzione e – come spesso accade – per caso scopro cose molto interessanti.

Ho scoperto così le fantastiche cronache di Cristoforo Gorno, trasmesse spesso senza soluzione di continuità dal canale culturale della Rai. E così, come l’inviato nella storia fa emergere le cronache ora del mito, ora dell’impero o del Rinascimento, da quel rumore di fondo è emerso un programma destinato a entrare tra i miei preferiti.

Quando improvvidamente qualche temerario mi chiama per tenere lezioni di scrittura creativa, cito sempre Gorno come esempio di storytelling. Secco, puntuale, ironico, Cristoforo Gorno è un maestro nell’arte di raccontare storie.

Se Alberto Angela dipinge un grande affresco storico, facendo della divulgazione un romanzo articolato e descrittivo come usavano i narratori classici, Gorno porta la storia nell’hard boiled, nel pulp, quasi.

Se Angela è il Tolstoj della divulgazione, Gorno ne è il Raymond Chandler.

Cristoforo Gorno riesce in mezz’ora a tracciare un quadro di vicende lontane migliaia di anni dove non manca nulla; l’epico viaggio dell’eroe comune a tutte le tradizioni mitologiche, i sanguinari intrighi dell’Antica Roma, le vicende e l’arte insuperabile del Rinascimento: nelle sue mani quelle storie che a scuola ci annoiavano, grigie e impalpabili, acquistano il vigore e l’efficacia di un film di Tarantino, il cinismo di un noir di Lansdale e l’armonia di un dipinto di Alma-Tadena.

Gorno è uomo d’azione e di poche parole, sempre quelle giuste, però.
Raramente indulge in speculazioni filosofiche, anche se non manca di far notare come gli antichi miti avessero in sé tutti i prodromi della moderna psicanalisi.

Il suo storytelling è in perenne movimento, le sue metafore riportano il mito ai giorni nostri; ci ritroviamo così alla corte della spietata e bellissima Caterina Sforza, la Tigre di Forlì a cui è dedicata una delle puntate più significative, che sfoggia il suo giovane amante come un toy boy; oppure a rivivere il mito di Dioniso attraverso The End dei Doors e di Jim Morrison, o ancora ad attraversare il Rubicone con Cesare, sì, ma anche con i Rolling Stones che lo citano in Streets Of Love.

Cristoforo Gorno se ne sta lì, sornione e disincantato, con un sottotesto ironico da cogliere per i più attenti. Diverte e – soprattutto – si diverte, portandoci dentro le battaglie di Sparta e Atene o di Troia, nei viaggi di Ulisse e nelle congiure romane, come fossero cronache di guerra narrate dal vivo. Lo spettatore non può fare altro che rimpiangere di non avere avuto professori così.

Ora ritroviamo tutto questo, spesso ampliato, nel volume che ho avuto il piacere di leggere, Cronache dall’antichità, edito da Rai Libri, in cui Gorno riesce a portare sulla carta tutte le caratteristiche felici dei suoi programmi. Il libro si legge agilmente e lascia quasi la sensazione che finisca troppo presto.

Le cronache letterarie di Cristoforo Gorno partono da Agamennone e Ulisse; due ritorni dalla guerra di Troia che avranno esiti e percorsi molto diversi. Passando per i principali episodi dell’antichità, le cronache ne narrano anche la fine; Gorno la colloca al 380 d.c. e all’editto di Teodosio. In un colpo solo vengono cancellati i Giochi Olimpici, l’oracolo di Delfi e il fuoco delle Vestali: è la fine dei tempi antichi e della loro mitologia.

Nelle quasi trecento pagine dell’opera vengono rievocate la fondazione di Roma, la congiura contro Giulio Cesare e l’impero; ma anche grandi battaglie, come le Termopili e Canne. Figure femminili forti come le donne che ruotano attorno ad Augusto e Agrippina, ma anche Clitennestra, narrata con un pathos irripetibile.

Ve lo consiglio caldamente, assieme alle sue favolose cronache sempre disponibili su Rai Play e in attesa di attaccare il suo romanzo su Giulio Cesare, con una raccomandazione: leggete con particolare attenzione la premessa al libro, in cui Gorno spiega perché raccontare ancora storie così lontane. Lo fa citando una splendida poesia di Simonide che riecheggia il dramma – attualissimo – delle ondate migratorie.

I versi parlano dell’episodio di Danae e del figlio Perseo, chiusi in una cassa e abbandonati in mare dal re Acrisio. Cristoforo Gorno accomuna il loro peregrinare in mare a quello dei migranti:

E l’onda lunga dell’acqua che passa sul tuo capo, non
odi, né il rombo dell’aria: nella rossa
vestina di lana, giaci: reclinato
al sonno il tuo bel viso.
Se tu sapessi quello che è da temere,
il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.
Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete abbia il mare;
ed il male senza fine, riposi.

E allora perché leggere le storie di un passato così lontano? Perché i loro miti, e le loro vite ci parlano ancora e hanno grandi insegnamenti di cui approfittare.
Chiedono solo di essere ascoltate.

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