Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Charles Manson e la strage di Cielo Drive

Charles Manson e la strage di Cielo Drive

Brutta data per gli americani, il 9 agosto. Stiamo parlando di uno dei compleanni più tragici per gli Stati Uniti, quello della strage di Cielo Drive 10050, Bel Air, California, perpetrata da Charles Manson e dalla sua Famiglia.

Secondo molti la data segna l’aprirsi della prima crepa che porterà al crollo della Summer Of Love, partita da San Francisco nell’estate del ’67 e destinata – ironia della sorte – a vivere il suo climax a Woodstock proprio pochi giorni dopo la strage ordinata da Charles Manson.

Certo è che il 1969 fu l’anno che più di tutti portò alla ribalta la dicotomia che ancora oggi segna la vita negli USA. Quell’affascinante e ambiguo connubio tra il sogno americano e la cieca violenza di una società dove tutto pare realizzabile, nel bene e nel male.

Cielo Drive ha talmente segnato, distrutto e calpestato i buoni sentimenti made in USA da essere perfino poco rappresentato in quel di Hollywood, dove tutte le storie sembrano buon materiale per raccontare e fare incassi.

Solo recentemente Tarantino con la sua nuova pellicola – C’era una volta a Hollywood – si è preso la responsabilità, sia pur di striscio, di raccontare quei giorni; negli stessi giorni una serie tv – la seconda stagione di Mindhunter – faceva lo stesso sul piccolo schermo.

Ma chi era Charles Manson?
Nobody/I’m Nobody/ I’m a tramp, a bum, a hobo/  I’m a boxcar and a jug of wine/ And a straight razor, if you get too close to me.

Così Charles rispose in un’intervista passata alla storia nel 1989, col suo caratteristico sguardo spiritato, la sua mimica facciale e il suo indubbio carisma. E in realtà Charles Manson fu davvero tutto ciò, e anche altro; ma fu, soprattutto, il peggior incubo che potesse risvegliare l’America dal suo sogno di pace e amore.

Figlio di una prostituta e di chissà chi, Charles passò l’infanzia tra affidi vari e avventure on the road con l’incauta e giovanissima madre. Conobbe istituti, riformatori e carceri fin da subito. Da detenuto scoprì innanzitutto un certo talento come protettore, e fu proprio l’attività di talent scout della prostituzione a procurargli le prime condanne sostanziose.

Charles si applicava molto nello studio. In particolare a McNeil Island, Manson si dedicò accanitamente allo studio di massoneria, necromanzia, magia nera, esoterismo, chirosemantica, motivazione subliminale e ipnotismo. E, quel che è peggio, imparò a suonare la chitarra.

Quando uscì di galera la California era nel pieno della stagione hippie. Charles, che a quel tempo non era un brufoloso musicista adolescente, ma un uomo di 33 anni con un solido curriculum da delinquente alle spalle, si convinse che per fare soldi senza lavorare sarebbe diventato una star del rock.

Se fate un giro su You Tube potete facilmente rinvenire alcuni demo che registrò in quel periodo; ne viene fuori un folk singer dal tipico stile West Coast, di poco o nessun talento e di una banalità sconcertante. Una sorta di Neil Young che non ce l’ha fatta, la banalità del male, per dirla con Arendt.

E con una fissa paranoica per i Beatles, tanto da considerarsi il quinto beatle.

Ma un talento Manson l’aveva, quello del carisma e dell’affabulazione. Unito alla chitarra a tracolla, must inevitabile del periodo, Charles riusciva a fare proseliti, specie tra le ragazze. Spesso queste erano fanciulle scappate di casa, senza un tetto, magari drogate e facilmente plagiabili. Fu così che nacque la Family.

Spostandosi su un pulmino un po’ particolare – dipinto di nero anziché coi tipici fiori lisergici – la Famiglia raggiunse anche i 50 adepti e iniziò a spostarsi su e giù per la California.

I componenti si dedicavano all’uso smodato di cannabis, alle orge e a idolatrare il carismatico leader. Ce n’era abbastanza perché Manson, coi suoi trascorsi e il delirio di onnipotenza cui era portato, uscisse completamente di senno.

Iniziò a ritenersi un leader religioso e un bel giorno prese possesso della villa di Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys in quel momento in tour. Qui stabilì il quartier generale della sua Family.

Incredibilmente, quando Wilson tornò trovando questa sorta di Rasputin in salsa hippie che gli aveva occupato casa, non la prese poi così male; sarà stato il carisma, saranno state le ragazze che Charles gli infilava nel letto, fatto sta che i due fecero lega.

Dennis cercò anche di sdoganarlo come musicista, nonostante i compagni di band lo vedessero bene quanto il fumo negli occhi. I Beach Boys arrivarono a incidere come B-side un suo pezzo – Cease To Exist – ribattezzato Never Learn Not To Love e a fargli da tramite con Terry Melcher, produttore dal tocco magico e figlio di Doris Day.

Melcher gli diede prima qualche speranza, ma tutto finì con un nulla di fatto. E fu l’inizio della fine; indovinate un po’ in quel periodo dove abitava Terry Melcher? Esatto, Cielo Drive 10050, Bel Air.

Certo, è difficile capire quali fossero i reali obiettivi nella mente ottenebrata di Manson, quando decise la spedizione nella famosa villa; già era a conoscenza del trasferimento del produttore e che ora la magione era stata affittata a Roman Polanski. Forse voleva solo spaventare Melcher, forse era già semplicemente impazzito.

Fatto sta che il 9 agosto la strage – cui Manson non partecipò fisicamente ma di cui fu mandante – si consumò.

La notte degli omicidi, Polanski non c’era: si trovava a Londra per motivi di lavoro – aveva appena finito di girare il suo capolavoro, Rosemary’s Baby. Nella villa c’era la moglie Sharon Tate con un gruppo di amici.

A eseguire materialmente il massacro furono Charles “Tex” Watson, braccio destro di Manson, Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian. Questi si diressero verso la villa armati di coltelli, un revolver e una corda di nylon lunga 13 metri. Giunti sul posto, i quattro tagliarono i fili del telefono per impedire che venisse dato l’allarme.

Linda Kasabian fece da palo, mentre gli altri scavalcarono la recinzione che circondava il parco della villa. In quel momento si accingeva a uscire in macchina Steven Parent. A uccidere il ragazzo, che era amico del guardiano, è Tex Watson.

Entrati in casa, i membri della Famiglia non ebbero nessuna pietà per i presenti. Il secondo a morire fu il parrucchiere Jay Sebring; questi implorò di lasciar in vita Sharon Tate, che era incinta di otto mesi, ma fu ferito con un colpo di revolver all’ascella e finito con una serie di coltellate. Poi toccò a Wojciech Frykowski, che fu accoltellato da Susan Atkins, come Abigail Folger. L’ultima a cadere sotto i colpi dei folli adepti fu Sharon Tate. L’attrice aveva 26 anni.

Con uno straccio intriso del sangue dell’attrice, la Atkins scrisse sulla porta PIG. Il termine veniva usato in modo spregiativo nei confronti dei poliziotti e Piggies era il titolo di una canzone dei Beatles. Sullo specchio del bagno venne scritto Helter Skelter, altra canzone dei Beatles.

Nessuno sopravvisse all’incursione della Family.

Ma non basta. Il giorno dopo tocca ai coniugi La Bianca. Al duplice omicidio partecipa un’altra ragazza della Family, Leslie Van Houten.

I delitti sono particolarmente efferati, i deliranti criminali infieriscono sulle vittime con forchettoni e lasciano di nuovo scritte vergate col sangue, tra cui il famoso errore ortografico – Healter Skelter – sul frigorifero.

C’è ancora tempo per altri omicidi, anche a sfondo razziale – Manson e la Famiglia nutrono un odio inestinguibile verso i neri – prima che, negli ultimi mesi del ’69 l’avvocato Vincent Bugliosi riesca a mettere insieme le prove e a far arrestare Manson. Decisiva, nel processo, sarà la testimonianza di Linda Kasabian.

Da lì il delirio e le farneticazioni di Manson avranno via libera. In particolare l’uomo sosterrà che i delitti gli erano stati ispirati in gran parte dalle canzoni del doppio White Album, allora il più recente album dei Beatles.

Charles nutriva una vera ossessione per quel disco; l’aveva ascoltato centinaia di volte e aveva trovato nei testi vari messaggi subliminali che lo incoraggiavano nel suo folle progetto di rivoluzione violenta.

Susan Atkins, per esempio, venne ribattezzata dal guru Sadie, in onore di Sexy Sadie, pezzo minore del lavoro. Piggies e Helter Skelter lo colpirono particolarmente; quest’ultimo in particolare è un pezzo peculiare nel canzoniere dei Beatles.

Alcuni hanno voluto vedere semi dell’heavy metal nella canzone, certo è che sia il brano più hard rock della band di Liverpool, scritto e cantato da Paul McCartney per cercare di scrollarsi di dosso l’aria da bravo ragazzo e per superare la furia rumorosa degli Who.

Manson era a tal punto ossessionato dai quattro ragazzi inglesi che il suo avvocato tentò un colpo di teatro citando John Lennon come testimone a discarico. Lennon evitò sempre accuratamente di immischiarsi nella faccenda, dichiarando che non poteva correre appresso a tutti gli squilibrati che lo usavano come pretesto. Proprio uno di questi l’avrebbe ucciso undici anni dopo.

Finisce così la carriera criminale di Charles Manson e inizia quella – discutibile – di inquietante mito. Manson passerà il resto dei suoi giorni in carcere, vedendosi puntualmente rifiutate tutte le possibili richieste di libertà vigilata, per poi morire nel 2017 a 83 anni.

La sua leggenda si nutrirà del grande seguito che continuerà ad avere e nei tanti citazionismi che seguiranno. Eccone qualcuno.

La criptica Mansion On The Hill di Neil Young, per iniziare, ma anche Death Valley 69 dei Sonic Youth e Bloodbath In Paradise di Ozzy Osbourne. I Guns ‘N’ Roses si spinsero a incidere una sua cover, Look At Your Game Girl mentre gli Slipknot costruirono un pezzo – 742617000027 – su un distorto campionamento della voce di Manson.

John Moran scrisse un musical, di nessun successo, sulla vicenda e Iggy Pop interpretò – in un cameo – la parte del pubblico ministero Bugliosi in un film.

I londinesi Kasabian mutuarono il moniker da Linda Kasabian, mentre Trent Reznor registrò Downward Spiral, cupo secondo disco dei Nine Inch Nails, proprio tra le mura di Cielo Drive.

Ovviamente però, il più noto discepolo rimane Marylin Manson, con tutte le stramberie del personaggio annesse.
Rimane, sullo sfondo, la figura di Roman Polanski.

Il regista era alla vigilia della grande affermazione di Rosemary’s Baby e aspettava il primo figlio dalla bellissima attrice Sharon Tate.

Era dunque nella fase più felice di una vita che da allora rimarrà segnata e maledetta. La strage farà da spartiacque tra i primi successi, già contraddistinti dal suo stile claustrofobico – Rosemary’s Baby, Cul De Sac, l’opera prima Il Coltello Nell’Acqua e soprattutto Repulsione – e la violenza sopra le righe e quasi disturbante del suo Mac Beth, primo film dopo Cielo Drive, dove alcuni videro una sorta di catarsi.

Sarebbe seguita una carriera di grandi successi, culminati coi riconoscimenti de Il Pianista e con grandi titoli come L’Inquilino Del Terzo Piano, Chinatown e Carnage, ma anche segnata da un’accusa di stupro su una tredicenne e dal seguente esilio forzato dagli Stati Uniti.

Charles Manson era tutto e niente, come nell’inquietante descrizione di sé; voleva la fama e la cercò nella musica, nel lato illuminato di quella luna allora appena conquistata. Purtroppo il suo talento era sull’altro lato, quello oscuro. Quello che ognuno di noi possiede e cerca di tenere imbrigliato.

E forse per questo Charles Manson, più di cinquant’anni dopo la strage di Cielo Drive, ci fa ancora tanta paura.

Articolo originale.

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