Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Meteore da Formula 1 e dove trovarle: tre casi italiani

Meteore da Formula 1 e dove trovarle: tre casi italiani

Da oggi inauguro una rubrica sui piloti di Formula 1, mutuata direttamente dalla mia pagina Facebook Formula 1, le storie. In questi articoli vi racconterò le storie delle cosiddette meteore, ovvero quei piloti che pur avendo ottime qualità, non sono riusciti a sfondare.

Iniziamo con tre piloti italiani: Beppe Gabbiani, Alessandro Pesenti-Rossi e Siegfried Stohr.

Beppe Gabbiani, Cavallo Pazzo.

Ci sono due tipi di pilota di Formula 1: quelli che fanno le cose per bene, debuttando al momento opportuno, costruendosi i contatti giusti e crescendo piano piano. Poi ci sono quelli tutto istinto: vanno forte con qualsiasi volante gli si metta tra le mani, pestano sull’acceleratore e agiscono subito, prima di pensare.

I primi di solito hanno buon successo, i secondi non sempre, ma fanno innamorare il pubblico.
Beppe Gabbiani fa parte della seconda categoria, all’interno della quale fa quasi scuola a sé.

Quando nel 1978, a Watkins Glen, John Surtees lo chiama a sostituire Brambilla, Beppe è un oggetto misterioso. Ha 21 anni, va forte con qualsiasi auto ma spesso getta via tutto per troppa irruenza: lo chiamano Cavallo pazzo.

Alla prima gara Bernie Ecclestone lo prende da parte e gli dice di andarci calmo; a Monza è morto Peterson e la Formula 1 ha gli occhi del mondo puntati addosso. Gabbiani per una volta esegue, prendendo il suggerimento fin troppo sul serio: prende quasi tre secondi da Arnoux, compagno di colori, e non si qualifica.

A Montreal va meglio, sul bagnato è molto veloce, ma poi sciupa tutto per un testacoda e non si qualifica di nuovo. Passano tre anni e Beppe trova posto all’Osella. La monoposto è quasi artigianale, tanto cuore ma pochi mezzi. Cavallo pazzo si qualifica in tre delle prime cinque gare. A Imola azzecca la gara della vita: a metà gara è nono, con la possibilità concreta di andare a punti, ma sbatte con Alboreto.

Alla Osella arriva Jarier, pilota esperto e velocissimo. Non solo, al francese toccano le gomme migliori. Risultato: la Osella vola a metà classifica, Gabbiani non si qualifica più. Il treno della Formula 1 è perduto e per Beppe inizia una lunghissima carriera, con grandi soddisfazioni, ma lontana dal Circus.

Ma chi è veramente Beppe Gabbiani? Il figlio di papà che combina tanti guai in pista ma ancora di più fuori, il Cavallo pazzo che cerca di ripartire dopo avere spezzato in due la monoposto, col motore lontano, nei prati? O un pilota velocissimo il cui talento non è stato mai valorizzato al punto giusto?

Non lo sappiamo, ma probabilmente la verità sta nel mezzo. Di sicuro Cavallo pazzo è un pilota che si è goduto ogni singolo chilometro, sempre a tavoletta, spesso senza pensare troppo.

Alessandro Pesenti-Rossi, sempre al traguardo.

Alessandro Pesenti-Rossi, nato il 31 agosto del 1942 a Bergamo, fa parte di un’altra categoria di piloti. Pesenti-Rossi è la tipica meteora della Formula 1 degli anni Settanta quando, agli albori del professionismo esasperato, ancora c’erano storie come la sua.

Alessandro inizia a correre molto tardi, partecipando a qualche cronoscalata quando ha già 25 anni; le salite gli stanno strette e Pesenti-Rossi rivolge il suo sguardo alle piste. Prima la Formula Ford, poi la Formula 3, dove arriva terzo nel Campionato Italiano. Alessandro corre un po’ ovunque e in Formula 3 diventa un veterano. In Formula 2 ottiene qualche buon risultato, poi l’avventura in Formula 1.

In quegli anni basta acquistare una vecchia monoposto e si può tentare la sorte. Pesenti-Rossi trova qualche sponsor e fonda una scuderia, la Gulf-Rondini. In Inghilterra compra una Tyrrell 007, un vecchio modello, e decide di debuttare alla gara del Nurburgring del 1976, quella dell’incidente di Lauda.

Alessandro studia il percorso con una BMW presa a noleggio; debuttare nell’Inferno Verde è di certo un’idea poco razionale, eppure riesce a qualificarsi. In gara si tiene lontano dai guai e chiude 14°, mettendosi dietro Guy Edwards.

La sua Tyrrell è ancora nella vecchia livrea blu, non c’è stato tempo di riverniciarla, solo di attaccare gli adesivi degli sponsor. Alla gara successiva Pesenti-Rossi si presenta coi colori della scuderia, un abbinamento di arancione e celeste che rimane impresso agli appassionati. Anche a Zeltweg Alessandro si qualifica e in gara fa la sua figura: undicesimo.

A Zandvoort invece rimane fuori dalla griglia, anche per qualche problema tecnico. A Monza Pesenti-Rossi si rifà: sia in qualifica che in gara riesce a tenere dietro qualche collega, il massimo risultato a cui può ambire. Alla fine è 18°.

Monza è la sua ultima gara, con la soddisfazione di aver concluso tutti i Gran Premi disputati. Pesenti-Rossi continua ancora per un po’, tornando in Formula 2, ma ha già 35 anni, un’età in cui molti colleghi si sono già ritirati.

Pesenti-Rossi si ritira e fa perdere le sue tracce, lasciando però in tutti un ricordo positivo.

Siegfried Stohr, Formula 1 e psiche.

Caso estremamente atipico tra i piloti italiani e non è quello di Siegfried Stohr. Quando arriva in Formula 1, nel 1981, si vede subito che Siegfried è diverso dagli altri piloti. Con la barba e i capelli lunghi, un sorriso sereno stampato in volto, Stohr pare più un musicista di rock progressivo che un pilota. Ha già quasi trent’anni e – cosa mai vista – in tasca una laurea in psicologia.

Stohr però va forte: ha vinto nei kart, è stato campione di Formula Italia e di Formula 3 al primo anno, ha vinto una gara in Formula 2. Lo sponsor Beta, quello storico di Brambilla, gli dà una mano e Siegfried è pronto per debuttare con l’Arrows.

L’esordio non è dei più semplici: il compagno di squadra è Riccardo Patrese. All’epoca il padovano è uno dei piloti più veloci e non è certo famoso per il carattere facile; in più all’Arrows il materiale destinato al secondo pilota non è esattamente uguale a quello del primo.

Mentre Patrese fa faville – pole a Long Beach, terzo in Brasile e secondo a Imola, Stohr fatica anche a qualificarsi. La sua progressione è però buona: a Zolder è tredicesimo in qualifica. Proprio in Belgio, però, è coinvolto in un incidente che lo segna profondamente.

Allo start un meccanico – incredibilmente – rimane in pista per aiutare Patrese, la cui Arrows si è spenta; Stohr, coperto dalle altre monoposto, non può evitarlo. Miracolosamente Dave Luckett, il meccanico, si salva, ma l’urto è terribile.

Stohr corre fino a Monza, con qualche buona prova. A Montecarlo, al debutto, è 14° sulla griglia, a Zandvoort arriva settimo. Non basta, al suo posto viene ingaggiato per le ultime due gare Jacques Villeneuve, fratello di Gilles. Il canadese non riesce mai a qualificarsi, cosa che a Stohr era riuscita 9 volte su 13, a conferma della scarsa competitività della seconda Arrows.

Stohr fa ancora qualche apparizione in Formula 2, poi si dedica alla psicologia e alla guida sicura, settore in cui diventa un pioniere in Italia e in cui ottiene grandi successi. Negli anni scrive diversi libri, a conferma della sua figura atipica di pilota intellettuale.

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