Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

La storia di Caterina Sforza, la “Tigre di Forlì” (I^ parte)

La storia di Caterina Sforza, la “Tigre di Forlì” (I^ parte)

𝐴𝑝𝑟𝑖𝑙𝑒 1488, 𝐹𝑜𝑟𝑙𝑖̀, 𝑅𝑜𝑐𝑐𝑎 𝑑𝑖 𝑅𝑎𝑣𝑎𝑙𝑑𝑖𝑛𝑜
Sulle mura della Rocca di Ravaldino, una donna giovane e bellissima sta in piedi fiera. Ha i capelli rossi, lo sguardo deciso e una veste sontuosa, quella della Signora di Forlì. In basso, le truppe degli Ordelaffi, che hanno appena portato a termine la congiura uccidendo il marito di quella donna, la minacciano facendosi scudo dei figli di lei.

La donna è Caterina Sforza, e la sua risposta è eloquente e leggendaria: “Fatelo, se volete: impiccateli pure davanti a me, qui ho quanto basta per farne altri!” urla la Signora, sollevandosi il gonnellone e mostrando quel che potete bene immaginare. Ma come si era arrivati a quella situazione di stallo e – soprattutto – chi è quella donna così fiera da essere soprannominata la “Tigre di Forlì”?

Milano, 1463

Caterina è figlia del duca Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani, moglie di Gian Piero Landriani, conte e amico di Galeazzo. All’epoca usa così: i nobili fanno un po’ il comodo loro con le donne di cui si invaghiscono e se le prendono. Se le donne stesse ci stiano o meno è particolare di risibile importanza. I matrimoni sono solo un mezzo di scambio in complesse reti di favori tra casati, sempre alla ricerca di più o meno realistiche scalate la potere.

Galeazzo è uno che fa una fatica tremenda a tenerselo nelle braghe e la poveretta sforna in breve quattro marmocchi, Carlo, Chiara, Caterina e Alessandro. Caterina vive con la madre i primi anni, poi il padre vuole la figliolanza a corte. Un improvviso rigurgito d’affetto? Macché, valuta che la prole possa tornargli utile e l’affida a Bianca Maria, la nonna dei ragazzini. Non sia mai che, in quell’epoca di maschi alfa, guerrieri viriloni, un uomo possa occuparsi dei figli.

Quando poi Galeazzo trova la donna giusta, quella che gli possa garantire la giusta dote, ovvio, le fa adottare i giovani, che vengono così legittimati. La sposa è Bona di Savoia. Non vi inganni il nome, Bona non somiglia certo a Margot Robbie, ma almeno coi figli adottivi si comporta bene.

A noi, però, interessa la piccola Caterina.

La corte di Milano è all’epoca un ambiente pieno di stimoli, frequentato da artisti e letterati. Insomma, la Milano rinascimentale non è la Firenze dei Medici o la Roma dei papi, ma se la cava benone. Caterina è una bimba vispa e molto intelligente e ha la rara fortuna di ricevere la stessa educazione dei fratelli, cosa al tempo non da poco.

Caterina, però, non si interessa solo della lingua latina e dello studio dei tanti classici presenti nella ricca biblioteca di corte. No, lei si appassiona anche al mestiere delle armi, sognando forse le imprese delle amazzoni di cui legge in qualche libro. La famiglia del duca, oltre che tra Milano e Pavia, si sposta spesso in campagna a Galliate o a Cusago, dove Galeazzo si dedica alla caccia, anche all’epoca sport in cui i frustrati sfogano la violenza repressa.

Caterina apprende così l’arte venatoria e la mette da parte: le tornerà utile.

La donna, però, è di ingegno multiforme, vera figura rinascimentale in questo, e si dedica anche ad altri studi: erboristeria, medicina, cosmetica e alchimia. Per tutta la vita Caterina intrattiene rapporti con gli scienziati del tempo, che spesso non sono solo medici e studiosi, ma anche monaci speziali, nobildonne impegnate a preservare la propria bellezza e quelle che vengono definite con disprezzo fattucchiere e che spesso non sono altro che figure d’ingegno e cultura. Due doti che raramente vengono perdonate alle donne, a quel tempo ma sovente ancora oggi.

La nostra cresce colta, intelligente e – dicono le cronache – bellissima. All’epoca, però, non si perde troppo tempo, specie se la posta in gioco è imparentarsi col papa. Caterina viene promessa sposa a Girolamo Riario, rinomato e crudele basta*do che ha vent’anni più di lei e gode della fama di viziato figlio di papà, violento e sanguinario.

Dice di lui Machiavelli: “un essere di bassissima e vile condizione” e tanto vi basti per farvi un’idea. Girolamo, però, più che “figlio di papà”, è “nipote di zio”: sua madre, Bianca della Rovere, oltre a essere mia lontana parente, è la sorella di Papa Sisto IV.

Peccato che Caterina abbia solo dieci anni e che Girolamo, particolare terrificante, ne abbia trenta e nessuna voglia di aspettare per consumare il matrimonio. Prima di Caterina, infatti, a Riario era stata promessa la cugina Costanza Fogliani, del ramo dei Gonzaga. Alla madre Gabriella Gonzaga, però, quel giovane che a trent’anni – all’epoca un’enormità – non ha né arte e né parte, ma solo pessime recensioni, non piace. Perché, vi chiedete? Perché Girolamo ha fatto sapere che non vuole aspettare certo che Costanza sia pronta a consumare, ovvero che compia quattrodici anni.

Voi sareste felici se vostra figlia sposasse uno così?

Gabriella non lo è, anche tenendo conto che siamo nel 1473, e risponde a Girolamo con un bel pernacchione. Galeazzo, invece, tiene troppo a diventare parente del papa e non ci pensa due volte a consegnare nelle mani di Girolamo la figlia di dieci anni.

Per la giovane Caterina Sforza si aprono le porte di Roma, che all’epoca sta con fatica riprendendosi il primato tra le città italiane dopo secoli bui. Girolamo gliene farà passare ancora più d’una, prima di finire gettato dalla finestra del Palazzo della Signoria di Forlì.

Roma si sta riprendendo dal Medioevo, periodo particolarmente oscuro da quelle parti. Nei secoli bui, Roma era passata da meravigliosa capitale del mondo con oltre un milione di abitanti a cittadina lercia e inospitale con circa trentamila anime. Quando arriva Caterina, la città sta iniziando la sua fase rinascimentale e l’ambiente è frizzante.

In breve, mentre quel balordo del marito si sollazza coi suoi soprusi, Caterina frequenta artisti, filosofi e persone di cultura, trasformandosi da ragazzina di provincia a dama ammirata un po’ da tutti. Sisto IV, intanto, ansioso di togliersi dai piedi il nipote, appena si libera la Signoria di Forlì ne fa gentile omaggio ai coniugi. Peccato che su Forlì avessero già messo gli occhi gli Ordelaffi.

Caterina e Girolamo si mettono in marcia per prendere possesso della Signoria. È il 1480 e la diciassettenne Caterina si trova già a essere Signora di una città di discreta importanza. Il suo problema, in questa prima fase della sua vita, lo avrete capito, è il marito. Girolamo, nel 1478, ha arricchito il suo curriculum di una perla preziosa: è infatti tra gli organizzatori della Congiura dei Pazzi. Immaginate, quest’uomo così stupido e incapace che si mette in mente di prendere il posto di Lorenzo il Magnifico.

Ovviamente, finisce malissimo ma, con grande delusione di Caterina, Girolamo ha salva la pellaccia.

L’arrivo a Forlì è una roba talmente kitsch che i matrimoni al Castello delle Cerimonie sembrano al confronto una riunione di lord inglesi. I loro beni sfilano per otto giorni in un tripudio di ori, argenti e stemmi nobiliari. Alle porte di Forlì, i Riario-Sforza vengono accolti da fanciulli vestiti di bianco che sventolano ramoscelli d’ulivo: per rivedere qualcosa del genere si dovranno aspettare gli anni ‘70 e Jesus Christ Superstar che entra a Gerusalemme.

Caterina, addirittura, è portata a palazzo in trionfo, sorretta dalla folla a braccia facendo stage diving come Victoria dei Maneskin. Il motivo di tanta benevolenza? Semplice: Riario, forte dei big money dello zio papa, ha tolto le tasse e iniziato una politica di grandi opere pubbliche. Come tutti gli imbecilli, Girolamo non si rende conto che accarezzare il popolino è un’arma a doppio taglio. Non solo, a quei tempi si schiatta per un colpo di vento e lo zio papa è famoso per soffrire di gotta.

Se venissero meno i soldi di Papa Sisto IV, Riario e Caterina si ritroverebbero col cu*o per terra nel tempo di dire “RIP”.

Per quattro anni gli sposi seguono una routine, per così dire, tranquilla. Girolamo è pur sempre capitano della Chiesa e la loro vita si svolge ancora a Roma. Riario, che come tutti i cretini è molto ambizioso, non si accontenta e cerca di mettere le mani su Ferrara – venendo blastato da Venezia che gli nega l’aiuto – e poi su Rimini, ma fallisce come d’abitudine. Si accontenta allora di fare il bullo a Roma.

Quando però si tratta di fare sul serio, con Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, che per una serie di intrecci politici, assedia Roma, Riario non cava un ragno dal buco e il papa è costretto a chiedere aiuto ai Malatesta, che gli mandano Roberto il Magnifico. Roma è nel caos, e Girolamo ne diventa una sorta di tiranno, saccheggiando coi suoi le campagne e vendicandosi di chiunque l’avesse guardato storto negli ultimi anni.

Caterina non può fare altro che assistere impotente alle idiozie del marito, aspettando l’occasione di mettersi in luce. Occasione che arriva il 12 agosto del 1484 quando Papa Sisto IV rende l’anima gottosa al cielo.

Quando arriva la ferale notizia, i due si trovano a Paliano, vicino Frosinone, e i cardinali ordinano loro di ritirarsi con l’esercito a Ponte Milvio e di starsene buoni. Riario, lo sveglio di casa, forse non capisce che con la morte dello zio il vento è cambiato, e obbedisce. Caterina, da buona scacchista, è invece già tre mosse avanti e sa che se il nuovo papa dovesse loro ostile, sarebbero ca**i amari.

All’insaputa del marito, entra finalmente in scena la Caterina guerriera. Con risolutezza degna dei grandi condottieri, la ragazza (ha 21 anni) si impadronisce con un colpo di mano di Castel Sant’Angelo. Arriva a cavallo con Paolo Orsini e lo occupa a nome del marito, fa fortificare e sbarrare gli accessi e punta i cannoni sul Vaticano.

È un atto piratesco e coraggioso, ma dove vuole andare a parare la Tigre? Semplice, vuole obbligare i cardinali a eleggere un papa che continui a riservare a Riario un occhio di riguardo. Caterina si prepara a un lungo assedio e alle trattative.

Il suo piano funzionerà o ci penserà quel brocco di Riario, col suo tocco da Re Mida al contrario, a rovinare tutto?

Lo vedremo nella prossima puntata.

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